Vita di un musicista pendolare.

È incredibile.
Mi stupisce il fatto di non essermene mai accorta prima. Ma probabilmente non trascorrendo i 3/5 della mia giornata sui mezzi pubblici potevo anche essere giustificata. Ma ora no, ora non posso fare a meno di notarlo.
Oggi, poi, meno che mai.

Salgo la mattina in metro – da un po’ di tempo a questa parte il mio mezzo di spostamento privilegiato – e vengo deliziata, insieme a tanti altri passeggeri come me, dalla musica di un violinista di strada, attrezzato con carretto, strumento musicale (che mi chiedo dove abbia acquistato) ed ovviamente cestino/bicchiere per le elemosine. Badate bene, non parlo ironicamente. Mi ha davvero fatto piacere ascoltare note di musica classica prima che la giornata universitaria mi avrebbe riempito la testa di parole, parole e parole. La semplice melodia generata dal violino, invece, mi rilassava enormemente e riempiva la mia mente di sogni e pensieri fantasiosi: insomma, senza alcuna ombra di dubbio, un ottimo modo per iniziare la giornata. Così, notando che il musicista avrebbe proseguito la sua esibizione anche dopo la fermata alla quale dovevo scendere, mi sono alzata, ho percorso mezzo vagone e mi sono accostata a lui porgendogli un segno tangibile della mia gratitudine (so che non ci farà molto, ahimè!), per poi uscire dalla porta più vicina.
Confesso che non mi comporto sempre in questo modo, anzi. Tante volte (quasi ogni giorno, a dir la verità) mi capita di vedermi porgere un bicchiere per depositarci dentro qualche monetina ed altrettante volte mi trovo a rifiutare.
I modi in cui queste persone cercano di portare all’altrui compassione sono diversi: c’è la signora che attacca una litania con una voce ed una cantilena che indubbiamente la favoriscono; c’è la mamma disperata che entra in metro rigorosamente accompagnata da due bambini, uno, più piccolo, in grembo, e l’altro, più grandicello, per mano; c’è la coppia di fratellini sui dieci-dodici anni; c’è il duo musicale composto nuovamente da mamma e figlio; infine ci sono i violinisti individuali o gli utilizzatori di un certo strumento, i quali si posizionano tendenzialmente al centro dello scompartimento iniziando la loro performance, non prima di augurare: “Bongiorno tutti, signori, bona giornata”. Di solito non si intrufolano tra la folla o si avvicinano ai passeggeri seduti; piuttosto fanno un brevissimo giretto tra coloro che si trovano ad una prossima distanza e generalmente attendono che qualcuno si avvicini a loro, dimostrando il gradimento di quanto ascoltato già con il semplice gesto di alzarsi dal proprio posto a sedere.

Ecco, proprio questo genere di “elemosinante” ho incontrato quest’oggi, come vi dicevo, sui mezzi pubblici. Ciò che mi ha sorpresa è il fatto di essermi imbattuta in lui per ben due volte, una all’andata ed una al ritorno, a distanza di un paio d’ore l’una dall’altra. La cosa mi ha fatto riflettere e ragionare sulla frequenza con cui il musicista – o un altro uomo nelle stesse sue condizioni – compia il tragitto Laurentina-Rebibbia / Rebibbia-Laurentina, scendendo e salendo a fermate intermedie, magari cambiando linea, frequentando la A da Anagnina a Battistini o da Battistini ad Anagnanina, incontrando specialmente turisti, al contrario della linea B in cui viaggiano soprattutto pendolari. E, a parte il banale quesito che pure mi è balenato in testa – ovvero sul dubbio che avesse o meno un biglietto, o meglio, visti i diversi tragitti compiuti nell’arco della giornata, una tessera per i trasporti – mi sono trovata a mostrare interesse per la vita di costui, domandandomi come si articolasse il suo dì, se avesse un posto dove dormire e un pasto da consumare, e se sì quante volte mangiasse durante il giorno, quante si lavasse durante un mese, quante salisse e scendesse dalla metropolitana suonando sempre la stessa melodia – o pronunciando sempre le stesse parole -, quante mani si tendessero verso di lui, quanti occhi gli rivolgessero quanti e quali sguardi, se di pietà, di compassione, di disgusto, di disprezzo, di sufficienza o di indifferenza.
Sono stata, per un attimo, attraversata dall’impulso di donargli l’intero contenuto del mio portafoglio (che non è che fosse stracolmo, peraltro), ma poi ho realizzato che non sarebbe in ogni caso stato giusto, che forse avrebbe preferito il mio cappotto piuttosto che i miei soldi. Perché il denaro è una brutta, bruttissima bestia, il cui richiamo ci rende feroci, la cui mancanza ci rende agnellini e la cui abbondanza ci rende ciechi. Un portafoglio fa presto a venir prosciugato: un cappotto, forse, potrebbe avere maggior durata. E poi ci copre, ci protegge, ci riscalda. Un portafoglio, invece, a ben vedere, ci scopre, ci rende vulnerabili, ci fa desiderare sempre più calore.

Ecco che dunque un’altra domanda fa capolino dentro l’animo mio in subbuglio: che la mia elemosina sia servita a qualcosa? Che le nostre elemosine abbiano dato qualche frutto? O le opere di bene si traducono in ben altro?
Spesso me lo chiedo e spesso mi rispondo che, in realtà, ad andare oltre non sarei in grado, che quando penso di rinunciare al portafogli lo faccio perché so di poterne avere altri, ma che se dovessi scambiare la mia vita con quella di un musicista pendolare sulla metro B, no, non lo farei. Purtroppo non ci riuscirei.

Jamie Foxx in “The Soloist”

0 risposte a “Vita di un musicista pendolare.”

  1. Ciao cara Veronica, che bel post, mi sono venuti in mente tanti ricordi, alcuni belli altri meno, ricordi legati proprio a questo periodo in metropolitana, come dici tu, a volte sei preso dai tuoi problemi e sei come in un bozzolo, altre volte invece, la musica ti distoglie dal torpore regalandoti, qualche momento di evasione, e a tua volta ricompensi quell’ignaro musicista con qualche monetina, ma senza preoccuparti di cosa sia la sua vita e dove va ogni sera, i tuoi problemi ti hanno già rapito ancora prima che le porte della metropolitana si aprono, un grandissimo bacio con affetto, Angela

    1. Sì in effetti è così, appena si chiudono le porte ed arriva la tua fermata lasci dietro di te quegli incontri e proseguì con la tua vita di cui ti accorgi, quasi con stupore, della preziosità, della ricchezza. Il giorno dopo, nuovo tragitto e nuova musica, forse una nuova monetina ma per il resto tutto continua normale. I pensieri rivolti alla vita di questa gente occupano una parte talmente limitata della giornata che non ci influenzeranno più di tanto: si tratta di riflessioni passeggere che però, talvolta, ti segnano più del solito.

  2. Come sempre c’è gente che si approfitta della carità delle persone, e gente invece che si accontenta di quel che le persone danno, un sorriso, una stretta di mano, due chiacchere, qualche soldo. Il più delle volte pensiamo che dietro a quei volti ci sia una storia triste ma la verità è che spesso chi vive così sta meglio di molta gente che dietro a vestiti e a portafogli pieni non vive per niente la loro vita . La musica poi rende tutto più speciale. Quando sono stato in irlanda ho incontrato parecchie persone che per riuscire a viaggiare in lungo e in largo si portavano dietro il proprio strumento e vivano con piccoli spettacoli del genere e quando poi hai l’occasione di parlarci un attimo hanno tantissimo da darti. Anche io come te spesso mi guardo intorno e penso alle persone che mi circondano e a questo proposito mi viene in mente anche una canzone che parla proprio di questo http://www.youtube.com/watch?v=Mkrxeo_LxbQ … “ogni tanto buttati a caso in un bar
    siediti ad un tavolo in penombra
    e ascolta che cosa dicon le persone chissà chi lo sa chi lo sa”….. =)

    1. Sagge parole Eyes…
      Spesso associamo la ricchezza alla quantità di denaro che si ha nelle tasche e trascuriamo una ricchezza ben più grande, quella interiore, quella che non si nutre di banconote bensì della vita stessa, catturandone sempre il meglio: una giornata di sole, un volto sorridente, un’occasione speciale, acqua fresca da bere. Ecco, credo la ricchezza materiale della nostra società ci offuschi la preziosità della quotidianità, che viene colta solo da coloro che nella società vivono ai margini.

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