Nostalgia, nostalgia… romantica.

Oggi la spiaggia sembra immensa. Non è mai stata così ampia nel senso della larghezza.
C’è bassa marea, ecco spiegato l’arcano. Il mare si ritira, le onde si accorciano, mentre lembi di spiaggia a largo ed a riva emergono in superficie.
Cammino sul bagnasciuga, tengo i piedi a mollo. A volte affondano, l’acqua è più alta in alcuni punti, mi arriva fin sopra il polpaccio. Ho l’impressione di avere dei macigni appesi alle gambe, faccio fatica a procedere. Altre volte i piedi si scoprono, le caviglie affiorano. Sto risalendo una secca, uno di quegli isolotti sabbiosi che il mare oggi ha deciso di non sommergere.
Cammino sul bagnasciuga, tengo i piedi a mollo e gli occhi bassi: voglio studiare il comportamento del mare.
Appena mi guardo attorno, però, vengo catturata dal movimento del mondo. Ovunque mi giri, c’è sempre qualcuno intento a fare qualcosa: un uomo che armeggia con l’aquilone, un altro che scatta foto con il suo iPad dalla copertina color acquamarina. Distogliendo lo sguardo dalla spiaggia e rivolgendolo all’orizzonte, si notano in mare i bagnanti, bambini ed adulti che trovano tra le onde refrigerio ed appagamento dal sole. C’è una bambina – piccola, avrà avuto al massimo quattro anni – ancora tutta vestita con cappellino e canottiera a righe che vuole farsi il bagno e corre verso il largo. Poco più in là, una donna con il costume giallo esce dall’acqua e si china per raccoglierne un po’ e bagnarsi i capelli. In più, c’è tanta, tanta gente che cammina. Chi in coppia, chi da solo, chi con il cellulare in mano e le cuffiette nelle orecchie.
Io anche sono tra loro. Cammino sul bagnasciuga, tengo i piedi a mollo, ma ho mani ed orecchie libere: porto con me – ovviamente – solo la macchinetta fotografica al collo.
Inaspettatamente, forse a causa della mia lenta andatura solitaria, vengo colta da un momento di romantica nostalgia.
Penso a te. Penso che ti vorrei qui, accanto a me, a passeggiare al mio fianco, a tenermi per mano e proteggermi, come quando siamo in giro per la città e mi fai stare sempre dalla parte del marciapiede.
Penso che ti vorrei qui, accanto a me, a proiettare le nostre ombre sulla sabbia e a calpestarle mano a mano che andiamo avanti.
Penso che ti vorrei qui accanto per poter guardare la scogliera bianca davanti a me con i tuoi occhi, come se avessimo un unico sguardo. Perché una delle affermazioni che più condivido è questa: amarsi non è (solo) guardarsi l’un l’altro, ma guardare insieme nella stessa direzione.
Penso poi che ti vorrei accanto a me per poter parlare con te, parlare di ciò che ci riguarda, di cose che solo noi sappiamo e di tutto quello che rimane nostro.
Vorrei giocare a rincorrerci, a fare a gara a chi arriva primo all’ombrellone, scansando i passanti ed alzando la sabbia da sotto i piedi, ben sapendo che vincerai tu perché, non c’è niente da fare, sei un uomo e vai normalmente più veloce di me.
Ma ora sto arrivando da sola all’ombrellone. Mi sono voltata più volte, ma non ti ho mai visto. Devi essere rimasto molto indietro.
Adesso mi sono fermata, sono giunta a destinazione. Mi guardo alle spalle, ma niente: ti ho distanziato di parecchi chilometri.
Oggi ho vinto io.

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