L’acciaio che dà vita. L’acciaio che uccide.

Partiamo dal presupposto che il tema del romanzo non mi appassiona più di tanto.
La vita di due ragazze quasi quattordicenni che si divertono a mostrare poppe e sedere in giro, scoprendo il brivido delle novelle esperienze amorose con i primi che capitano loro davanti… beh, non è assolutamente il mio forte. E non mi va a genio nemmeno leggere ogni due righe sfilze di parolacce e di termini legati alla sfera sessuale nella sua più volgare e gretta accezione. Non che io sia puritana, intendiamoci (anche se qualcuno mi ci ha impropriamente definito), ma chiederei semplicemente un briciolo di moderazione. Non è possibile descrivere i maschi solo come predatori a caccia di orgasmi e trattare le donne alla stregua di cagne in calore. Diamoci una regolata.
Okay, sì, tutti questi personaggi vivono con un disagio familiare alle spalle, tra difficoltà sociali non da poco, dentro una città che non ti offre alcuna possibilità ed in un quartiere dove la persona più gamba è rifiutata, trattata come una sfigata, costretta ad andarsene altrove. Piombino è la città in questione, inondata dall’odore ruvido dell’acciaio, prodotto nelle fabbriche che, con le loro ciminiere svettanti nel cielo, disegnano il profilo del luogo. Un luogo dove vivono essenzialmente operai, casalinghe, madri sottomesse e padri di famiglia mortalmente gelosi delle proprie figlie, cresciute troppo in fretta in un ambiente che ti insegna che sesso e droga costituiscono il pane quotidiano.
Comunque, a parte tutto questo, ciò che mi spinge a valutare il romanzo come una lettura di medio e non di scarso livello, è decisamente il modo in cui è scritto. Un modo che mi ha catturata subito, coinvolta dall’inizio alla fine.
L’ho finito in meno di una settimana. E ci credo, non staccavo il naso dalle pagine e macinavo capitoli alla velocità di un Freccia Rossa.
Lo stile paratattico, talvolta nominale, della Avallone è trascinante, capace di comunicare con assoluta immediatezza emozioni e stati d’animo. Per di più la sua penna è talmente abile da riuscire a creare, con il solo accostamento di parole scelte oculatamente, l’immagine chiara e vivida di ciò che è solo raccontato, attraverso la scrittura, su carta. In breve ogni cosa si trasforma in un film, i personaggi diventano attori, i paesaggi scenografie. E l’Elba, sullo sfondo, dove le due protagoniste non sono mai riuscite ad andare pur vivendole così vicino, è il leit-motiv di tutte le scene. L’acciaio, infine, la colonna sonora.

Il romanzo è l’opera prima dell’autrice.
Appena finito il libro, mi sono subito chiesta semmai l’Avallone avrebbe scritto qualcos’altro.
Da ieri so, grazie ad una recensione sul blog letterario di Valentina, che è da poco uscito un suo secondo romanzo. Ebbene, lo leggerò sicuramente. Questa giovane scrittrice ha davvero dimostrato di avere talento.

0 risposte a “L’acciaio che dà vita. L’acciaio che uccide.”

  1. In realtà questo sarebbe il secondo 🙂 Il primissimo è “Il libro dei vent’anni”.. a parte questo non ho mai letto nessuno dei tre.. e capisco il “fastidio” che si prova a leggere tutte quelle volgarità.. purtroppo penso comunque che la descrizione che fa la Avallone (pur non avendola letta.. mi baso sulle tue parole) sia molto fedele.. d’altronde noi siamo sempre il risultato del contesto in cui viviamo.. purtroppo o per fortuna!

  2. Nemmeno a me piace quel linguaggio però va riconosciuto che contribuisce a creare l’atmosfera in cui si svolge la storia. L’autrice questo sa farlo bene. Sai cosa? Quando leggo un romanzo non penso che quelle siano parole messe lì solo per lo stile di chi scrive, ma che siano delle parole “necessarie”, che se non le scrivi manca qualcosa e ti perdi. Magari senza quelle parolacce, quelle descrizioni forti non avresti percepito l’ambiente reale, non avresti detto “ma in che schifo di posto abitano questi qua?” e il senso del libro sarebbe andato a farsi benedire.
    “Marina Bellezza” è meno forte, e lo stile della Avallone, che ci piace tanto, è sempre quello, si va sul sicuro. Poi sa scrivere, va detto.

    p.s. forse sto preparando un’intervista 😉

    1. Concordo, le parole hanno un potere fortissimo: veicolano immagini, trasmettono emozioni. La scelta delle parole giuste fa dell’Avallone una grande scrittrice a mio parere. Poi sì, il suo stile è assolutamente accattivante.

      Prepari un’intervista? Grande! 🙂 Come pensi di fargliela recapitare?

      1. Sì! Le ho scritto e lei tanto carina mi ha risposto in meno di un’ora, dicendomi che le faceva tanto piacere rispondere alle mie domande. Mi ha detto di inviarle alla signora dell’ufficio stampa che poi gliele dava, perchè tra presentazioni e varie è impegnata e aveva paura di perdere qualche pezzo. Le ho inviate alla signora e attendo le risposte 🙂

          1. Ma certo! Sono una decina di domande, più che altro su Marina Bellezza e su di lei, quando scriverò l’articolo lo pubblicherò su Leggeremania, ma lo metto anche nel blog 😉

  3. Penso che per leggere un siffatto libro anche se reso con ottima scrittura, scorrevole come tu dici , io dovrei avere sicuramente un coraggio che in realtà sento di non avere . Purtroppo linguaggi troppo forti e veritieri poco mi convincono, non mi piace, oltre che sentirli a volte nel gergo quotidiano di tanti giovani, anche doverli leggere in un libro. Senza, con ciò, nulla togliere alla tua recensione. Un caro saluto Isabella

    1. Certo, ognuno ha poi le sue preferenze. Confesso che questo linguaggio, in certi momenti, spiazza anche me e mi “infastidisce”. Penso: “ma non avrebbe potuto farne a meno?”. Però, come diceva Vale, sembra essere “necessario”, indispensabile per comunicare un certo messaggio che altrimenti non resterebbe compreso. A volte credo sia meglio parlare direttamente, pur se violentemente, piuttosto che utilizzare parole “finte” che non hanno alcun peso.

  4. Si è parlato molto di questo libro e ho sentito pareri molto diversi, per il momento non mi attrae e da quello che leggo credo che il linguaggio e la tematica mi renderebbero poco gradevole la lettura.
    Spero, inoltre, che la storia non sia una sorta di giustificazione di certi stili di vita, solo perchè sviluppatisi in un certo ambiente…molti illustri personaggi del passato, compositori-inventori-scrittori, vivevano in condizioni peggiori eppure…

    1. Hai scritto una cosa con la quale sono molto d’accordo. Romanzi di questo genere, alle volte, mi sembrano scritti per “compatire” le condizioni di vita dei loro protagonisti, per istillare una falsa compassione nei lettori che magari potrebbero pensare: “certo che, poverini, in quell’ambiente diventi per forza un delinquente”. Eppure non è sempre così. Anzi, spesso e volentieri è il contrario. Mi sono sempre chiesta come mai si scelga di raccontare le storie di chi vive in un disagio sociale e non quelle che apparentemente non presentano problemi. Sicuramente le prime fanno più “audience”, diciamo così, e sono anche le più facili: è più semplice spendere fiumi e fiumi di parole per lamentarsi piuttosto che descrivere ampiamente chi è felice.

  5. Acciao, anche se duro come un pugno nello stomaco, mi è piaciuto molto. Sto leggendo Marina Bellezza e per ora mi piace. Certo forse i personaggi possono apparire u po’ stereotipati, però leggendo le pagine ti sembra quasi di sentire gli odori dei posti che descrive.
    Lei poi, ho avuto la fortuna di conoscerla, ed è carinissima.

    1. Esatto, Acciaio ti provoca una vera e propria sensazione fisica di “malessere”, ti colpisce conferma cinquanta proiettili sparati da una mitragliatrice. Però se lei è riuscita a fare questo, come ripeto, tanto di cappello!

      Dalle foto di copertina sembra infatti una persona deliziosa la Avallone.

          1. no, perchè non ne ho avuto l’occasione e poi perchè il libro mi è piaciuto così tanto che difficilmente potrei trovare nella trasposizione cinematografica qualcosa di più

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