B-Day (sembra la sceneggiatura di un film, ma non lo è)

Sembra incredibile che non riesca a trovare del tempo per scrivere un paio di righe sul blog. Eppure è così. Forse non saprei nemmeno cosa raccontarvi, cosa dirvi. Corro da una parte all’altra tutto il giorno e mentre il mio corpo si muove in una direzione, i miei pensieri ne percorrono mille altre. 
Ieri sono andata in università per parlare con la mia relatrice degli ultimi sviluppi fatti in funzione della tesi. Arrivata davanti alla sua porta mi squilla il telefono: è un cliente per una comunione, vuole avere dei chiarimenti circa una email che gli ho spedito, prende poi un appuntamento. Nel frattempo mi accorgo che la porta dello studio della mia relatrice è chiusa ed un post-it indica che si trova al Consiglio di Dipartimento, avvisando che tornerà a ricevere alle 14. Approfitto di queste ore per recarmi in laboratorio, ma appena effettuo la registrazione e mi sistemo alla mia postazione, computer acceso e cuffie alle orecchie, il telefono squilla (anzi vibra perché l’ho messo silenzioso) di nuovo. Esco fuori dal laboratorio cercando di essere sbrigativa per non abusare delle ore in cui ho prenotato la postazione pc. Rientro dentro al termine della telefonata e finisco le attività di ascolto con i minuti contati, visto che poco dopo mi sarei vista con mio padre a pranzo. Ecco infatti che, mentre sbrigo le pratiche per l’uscita dal laboratorio (ritiro tessera, registrazione delle ore, firma etc.), mio padre mi telefona. Il telefono prende malissimo, non sento nulla, solo mio padre che a tratti mi domanda dove mi trovo. Io rispondo che lo richiamo tra due minuti, ma evidentemente anche lui ha problemi di ricezione e continua a pormi la stessa domanda per tre volte. Esco dalla facoltà, richiamo papà, nel frattempo mi telefona Armando sull’altro telefono, quindi chiudo velocemente la conversazione con il babbo e switcho su Armando. L’appuntamento con mio padre sarebbe stato a piazzale Flaminio, quindi faccio il cambio con la metro a Termini ed arrivo in pochissimo tempo (meno di quanto mi aspettassi) dalle parti di piazza del Popolo. Per fortuna durante il pranzo non ricevo chiamate. Mi rimetto in metro, arrivo accaldata in università ed in tutto questo non sono ancora mai andata in bagno da quando ho lasciato casa. Dopo aver risolto l’urgenza mi catapulto al terzo piano per parlare con la professoressa, ma… Ho tre persone davanti. Guardo l’orologio: ho mezz’ora di tempo prima che arrivi Armando per andare insieme a lavoro. Eccolo che, puntuale alle 14.50, mi chiama. Non rispondo perché disturberei visto che sono vicinissima allo studio della prof e dunque prossima ad entrare. Mando un messaggio dicendogli di aspettarmi perché tarderò 5 minuti, non di più. In realtà il ritardo è maggiore, tant’è che quando esco dallo studio mi ritrovo cinque messaggi e una chiamata persa da Armando, il quale si lamenta dell’orario. Arriviamo però assolutamente in tempo per il lavoro nel quartiere Prati e fortuna vuole che si liberi un posteggio proprio davanti alla sala. Pure bianco, quindi non a pagamento. Le successive tre/quattro ore le trascorriamo in un locale parrocchiale alquanto squallido in compagnia di 25 bambini di 7 anni che ci seguono per la maggior parte del tempo. Ah, dimenticavo. Il cellulare non prende in questa sala. Dunque mi aspetto di trovare una serie interminabile di chiamate perse alla fine della festa. Per fortuna non è così, o almeno, non mi vengono segnalate le chiamate perse. Carichiamo la macchina intorno alle 19:30 ed un’ora dopo siamo a casa. Ad attenderci, come sempre d’altronde, una cenetta deliziosa con un mazzo di rose bianche che troneggia in mezzo al tavolo. Eh sì perché in tutto questo affanno mi è quasi sfuggito che è anche il giorno del mio compleanno. 

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