Apriti cielo tour – Mannarino

Una voce calda e prorompente, avvolgente ed intrigante, che risuona, in un’acustica effettivamente da migliorare, all’interno dello stadio gremito per metà da coppie, amici, persone da sole, chi con una fascia tra i capelli, chi con un cappello in testa, chi con la sola voglia di divertirsi a ritmo di musica per una sera.
Serata sold out.
Il concerto di Mannarino al Palalottomatica è davvero un’esperienza che rifarei poiché non mi aspettavo si tramutasse in un ricordo così forte che mi è tornato alla memoria persino diversi giorni più tardi. È la sensazione incredibile che ti lascia, che non ti togli di dosso, e che ti accompagna per le ore successive, facendoti camminare a cinque metri da terra.
Sicuramente è l’effetto post-concerto, probabilmente è la conseguenza di una serata diversa, cui nono sono particolarmente abituata, ma l’immagine di Alessandro sul palco, accompagnato da un’ottima band di musicisti e coriste, allieta il mio risveglio la mattina successiva.
Mi piace la sua voce, così profonda e persistente, come l’odore di un profumo che rimane impresso sul foulard.
Mi piace il modo in cui si muove, la sua gestualità, la sua presenza scenica derivata da esperienze di recitazione che lo rendono sicuramente molto abile nel tenere il palco ed improvvisarsi nell’uso di travestimenti ed oggetti dal sapore arcaico.
Mi piace il suo stile di cantare, a tratti profetico, a tratti sussurrato. I suoi brani sono spesso parlati, raccontati, intervallati da pause e cori, lunghi istanti instrumental, i quali, a mio avviso, donano ancora più forza e vigore alla prosecuzione della canzone. Ogni testo si carica di un’energia enorme, mistica e misteriosa, è urlato al mondo con decisione ed eleganza, senza strafare, senza rubare la scena ai flauti, ai violini, alla batteria, al violoncello, alle varie tipologie di tamburi, alle chitarre, al sax e agli innumerevoli strumenti musicali dal gusto esotico che giocano in certi pezzi il ruolo di indiscussi protagonisti.
Mi piace che sia la musica ad adattarsi alle parole, e non il contrario come normalmente accade, vanificando testi e banalizzando storie. Se c’è da dire una cosa, lo si fa, e la musica si modellerà intorno a frasi già dense di intrinseca qualità sonora.
Mi piace il sound di diversa origine e derivazione, dagli spunti così lontani e variegati, mescolati sapientemente in note di samba, musica popolare, folkloristica, persino jazz, di stampo talvolta esotico ed orientale. E non mancano le reminiscenze di grandi artisti cui certamente Mannarino si ispira, per non parlare dei cantautori brasiliani che – egli stesso afferma – costituiscono il suo punto di riferimento più grande. Si respira Celentano, ci sento Sergio Caputo, Max Gazzé, nelle parti parlate anche Daniele Silvestri, e non si può non citare Vinicio Capossela.
Ascoltare musica dal vivo è sempre una grande emozione, ma Mannarino ha saputo renderla ancora più imponente perché mi ha sorpreso su tutta la linea, trascinandomi nel suo vortice dal magnifico sound che raggiunge il vertice nell’incipit e nell’arrangiamento generale di certi brani come Deija, Arca di Noè, Gli animali, Amba Arabam.
Musica per l’anima, musica che arriva in fondo, musica che solletica le corde più profonde delle emozioni con testi da ascoltare dall’inizio alla fine, poiché si parla di storie, racconti, profezie sull’umanità, si riflette giocando e non si celebrano versi sconnessi e scelti solo perché fanno rima.
La sua musica cantautorale merita a mio parere grande attenzione, se non altro per il coraggio di gridare al mondo ciò che pensa senza paura di essere giudicato o criticato.
Ho scoperto di amare la sua irriverenza, la sua provocazione e mi piacciono da morire quei testi che scottano, le parole che bruciano, risultano un po’ scomode all’inizio, ma sono poetiche e piccanti, ironiche e magnetiche.
Mi stupisce il grande artista che Mannarino dimostra di essere.
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Questa è una storia da raccontare…

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