Diario di Viaggio: un weekend a Bari

Quando inizi a conoscere la Puglia, è difficile, se non quasi impossibile, riuscire a farne a meno.
Ho la fortuna di avere diversi amici pugliesi, qualcuno trapiantato a Roma, qualcuno conosciuto in contesti diversi, e grazie al loro forte orgoglio regionale che non stenta a manifestarsi, sono stata trascinata a visitare in lungo e in largo questa bellissima terra.

Dopo Lecce, il Salento,  la provincia di Brindisi con Ostuni e la Costa Merlata ed infine Trani, il penultimo weekend di dicembre sono stata a Bari, immersa in una atmosfera decisamente movimentata e natalizia, e invasa da suggestioni culturali  che non mi scrollerò più di dosso. Perché le tradizioni gastronomiche fanno parte della cultura di una località, sono spesso intrinsecamente legate alla sua storia e al suo passato e non c’è niente di più bello che scoprirle direttamente sul posto, con il valore aggiunto di guide locali.

bari muraglia

Il mio battesimo con la Città Vecchia di Bari è avvenuto in luogo meraviglioso, nel Forno Fiore alle spalle della Basilica di San Nicola.
Nei locali di quella che era una volta una piccola chiesa, si sforna in continuazione (o fino ad una certa ora, a seconda dei periodi) la tipica focaccia barese con olive e pomodori freschi. Va mangiata lì, sul momento, calda e unta dentro la carta oliata bianca con la quale viene consegnata. E il primo morso è una iniziazione paradisiaca a tutto il piacere che il cibo può regalare. Consumarla sulla muraglia, seduti sulle panchine o appoggiati al muretto guardando il mare, è il non plus ultra di un’esperienza che entrando in Città Vecchia è imprescindibile per chiunque.

La Basilica di San Nicola è dedicata al Santo Patrono di Bari. Una storia lunga, anzi più storie lunghe, a cominciare dal fatto che il santo è venerato in due confessioni del cristianesimo, il Cattolicesimo e la Chiesta Ortodossa, perché egli era originariamente il Vescovo di Myra in Turchia. Da qui la sua carnagione olivastra o comunque scura, completamente annullata nella rivisitazione in chiave “occidentale” del Babbo Natale odierno, personaggio che trae in effetti spunto da San Nicola.
Protettore dei marinai, ma anche santo che porta i doni ai bambini e che supporta le donne in cerca di marito, San Nicola è festeggiato a Bari in ben due occasioni durante l’anno: il 6 dicembre, giorno della sua morte, e l’8 maggio, vera e propria festa patronale con tanto di rappresentazione sull’acqua a ricordare l’arrivo delle ossa del santo dalla Turchia. Per maggiori approfondimenti, necessari anche per capire quanto profonda e radicata sia la spiritualità in questi luoghi – probabilmente nel Meridione in generale – vi rimando a Wikipedia.

La Basilica, costruita in tufo, ha il tipico stile romanico delle architetture ecclesiastiche del Sud, e merita una visita all’interno, sia alle navate che alla cripta, ove sono conservate le ossa di San Nicola e dove si trova la Colonna Miracolosa, anche lei, secondo la leggenda, giunta per mare fino alla costa di Bari.

Lungo la Strada del Carmine raggiungo la Cattedrale dedicata a San Sabino, copatrono, o patrono antecedente a San Nicola, o comunque uno dei tre patroni della città accanto, appunto, a Nicola e Maria Ss. Odigitria (dal greco: che indica la via, che mostra la direzione).  Insomma, non ci facciamo mancare niente.

La Cattedrale ripropone lo stile decorativo ed architettonico della Basilica, ma la cosa più spettacolare è che la sua visione si apre da un dedalo di viuzze strette ed intricate, tra edifici bassi e caratteristici, panni stesi, porte aperte con le delizie del Natale in preparazione sui tavoli. E sopratutto: odore di cibo ovunque. Profumo, fragranza, eu de toilette che sa di rosticceria, di pasta, di massa preparata per essere fritta o impastata, di dolce, di miele, di vino cotto.

Restando in tema cibo, la puccia a pranzo non poteva certo mancare. Ripiena di polpo, burrata e pomodorini secchi, delizia il palato ed appaga lo stomaco come solo i sapori pugliesi sanno fare.

Dopo il pasto mi dedico ad un giro fotografico tra le strade della Città Vecchia, iniziando da Piazza del Ferrarese e piegando verso Piazza Mercantile, famosa per la Colonna dell’Infame e la casa natale di Niccolò Piccinni, noto compositore del XVIII secolo divenuto addirittura Maestro d’Orchestra alla corte del Re di Francia, nonché figura centrale nello sviluppo della cosiddetta opera buffa.

Al Piccinni è intitolato l’omonimo teatro di Bari, che affianca il più noto Teatro Petruzzelli e Teatro Margherita – quest’ultimo vanta peraltro un curioso aneddoto circa la sua realizzazione: le fondamenta poggiano sull’acqua, in quanto l’area urbana in cui sorge era di proprietà della famiglia Petruzzelli che mai avrebbe acconsentito alla costruzione di un ulteriore teatro, peraltro così vicino alla loro opera. Porre le fondazioni in mare fu l’astuto modo per innalzare l’edificio.

Ma torniamo alle atmosfere della Città Vecchia, nella quale mi addentro percorrendo le strade più o meno già battute in mattinata per non mettere eccessivamente alla prova il mio poco sviluppato senso dell’orientamento. Arrivo al castello Normanno-Svevo di Bari, fortezza che ha servito evidentemente entrambe le civiltà con scopi di difesa e controllo della cittadina pugliese, occupata, nel corso della storia, da varie popolazioni: romani, longobardi, normanni, arabi, bizantini, francesi.

L’impronta lasciata da ognuno di questi popoli nel dialetto barese è ancora molto evidente, ed è estremamente affascinante conversare con la gente del posto per conoscere etimologie e influenze linguistiche, origini, prestiti lessicali, adattamenti fonetici.

Affascinante è, ad ogni modo, l’aggettivo che meglio descrive la mia complessiva impressione di Bari, non limitata semplicemente a Bari Vecchia, ma ottenuta dopo piacevoli passeggiate lungo la Muraglia e su Corso Vittorio Emanuele, dopo la visita di Palazzo Fizzarotti e le spiegazioni appassionate, più o meno comprensibili per una forestiera come me, dei palazzi storici legati alla regina Bona Sforza, Gioacchino Murat e a tutte le famiglie storiche che hanno transitato per Bari.

Il mio cuore rimane però a Bari Vecchia, accessibile ed apprezzabile oggi grazie ad una importante opera di riqualificazione avvenuta negli anni Novanta mediante piani di sviluppo studiati per il capoluogo pugliese e fondi europei destinati a sovvenzionare interventi di ristrutturazione ed attività locali.

Bari Vecchia, dicevo, un centro storico che non ha niente di quell’essere pulito ed ordinato come i borghi confezionati per turisti debbono presentarsi.

Bari Vecchia che non è elegante né tirata a lucido per ospitare negozi di souvenir e botteghe di artigianato locale, il più delle volte trappole commerciali per i viaggiatori.

Bari Vecchia che ha qualcosa di autentico e verace nelle vie talvolta imbrattate con qualche graffito e spesso disordinate con la biancheria appesa dai balconi, negli odori di cucinato o nelle vesti di signore intente a pulire la verdura fuori casa, direttamente su strada.

È autentica nelle chiese sconsacrate, nei portoni storici e nelle pareti in pietra giallastra degli edifici.
È verace nella pavimentazione originale e nelle piazzette silenziose, durante l’ora della siesta, o terribilmente chiassose nei momenti di mercato. È autentica e verace perché mostra di essere vissuta nella spontaneità di costumi e tradizioni vecchie di generazioni, tipiche e peculiari di un luogo e delle sue genti.
È autentica e verace, come un morso godereccio ad un bel panzerotto fritto può testimoniare: caldo, gustoso ed appagante.

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