Festival del Cinema di Roma

Può capitare di rimanere più entusiasmati dalla sala cinematografica che dal film?
Beh, a me è successo.

Non ero mai entrata nella sala Santa Cecilia dell’Auditorium e non avevo proprio idea delle sue dimensioni. Per questo motivo, appena vi ho messo piede ed ho abbracciato con lo sguardo l’ampiezza dell’ambiente, sono rimasta a bocca aperta.
La bocca poi l’ho dovuta richiudere per non correre il rischio di sembrare un pò ebete, ma i miei occhi hanno continuato a rimanere affascinati. Durante il film, sono stati rivolti allo schermo, saltellando un pò su, un pò giù, per andare a caccia dei sottotitoli (film francese recitato parte in francese, parte in inglese e sottotitolato, nel primo caso, sia in inglese che in italiano, e nel secondo solo in italiano. Ah, dimenticavo una canzone eseguita in polacco), ma al termine – dopo solo 80 minuti – sono tornati a spaziare per la sala, salutandola per l’ultima volta prima di uscirne.
Sebbene avessi la macchinetta con me, non ho fatto foto alla sala. E mi domando ancora perchè. In fondo avevo tutto il tempo prima dell’inizio della proiezione, ma evidentemente sono rimasta così colpita che anche i miei arti si sono, in qualche modo, paralizzati, “imbambolati”.
Non mi dispero, comunque. Primo perchè ho la ferma intenzione di tornarci almeno un’altra volta (possibilmente anche prima del prossimo Festival del Cinema), e secondo perchè ho l’immagine chiara e nitida in testa, come una fotografia stampata sulla carta della mia memoria.

P.S. Per la cronaca, il scelto era “La Femme Du Cinquième” con Kristin Scott Thomas, attrice che non amo particolarmente ma di cui riconosco il talento. Ebbene, film discutibile a mio parere. Se non fosse stato per l’interpretazione fornitami dalla mie due critiche accompagnatrici M&M – nonchè amiche ovviamente! – non sarei riuscita a farmi un’idea compiuta sulla pellicola. Maaah, i francesi…

The Tree Of Life – parte II [Terrence Malick]

…continued from The Tree Of Life – parte I [Terrence Malick] 

The Tree Of Life, l’albero della vita, che nasce, cresce ma che non muore mai, anzi si alimenta continuamente grazie alle nuove generazioni ed al ciclo vitale che mai si esaurisce.
Ma chi regola tutto ciò? Chi permette che la vita sulla Terra non trovi mai un suo termine? La risposta che il film cerca di fornire a questi interrogativi è resa chiara ed evidente dalle immagini iniziali e finali, dai dialoghi, dai continui riferimenti a Dio. E’ proprio lui che Malick vuole trovare, è sulla sua essenza che il regista vuole indagare, cercando di rispondere ai dubbi di un ragazzino, il cui padre non è affato il Padre buono e misericordioso professato dalla sua religione. «Perché ci fa questo se è nostro padre?»

La parte conclusiva della pellicola vede come protagonista Sean Penn, fantastico come sempre ma praticamente muto (mi pare che pronunci solo qualche battuta al telefono), impegnato in un processo di rievocazione della sua infanzia ed adolescenza, segnata dal dolore per la perdita di un fratello e della madre e contraddistinta in particolar modo dal suo rapporto conflittuale con il padre (Brad Pitt). I momenti che vanno dalla sua nascita, vista da Malick come il riemergere dalle profondità dell’oceano, all’arrivo in famiglia del fratello più piccolo sono veramente magici: Malick coglie l’amorevolezza dei gesti, la tenerezza dei sorrisi, l’affetto smisurato che la madre riversa sul figlio e le comunica allo spettatore servendosi di stupende immagini.

Nell’adolescenza, Jack (che sarà da grande Sean Penn) rivela la sua natura di adolescente problematico, dovuta in larga misura all’oppressione del padre nei suoi confronti. Il padre di Jack è autoritario, severo, intransigente, impone ai figli di chiamarlo “Signore”, ma allo stesso tempo pretende che loro dimostrino di provare affetto per lui. Nonostante la famiglia di Jack sia profondamente religiosa, gli insegnamenti che il padre impartisce ai figli sono del tipo: “Non essere troppo buono, altrimenti non andrai avanti nella vita” oppure “Colpisci, colpisci, non avere paura di dimostrare la tua forza.” E’ quello che serve per combattere una Natura spietata, di cui il padre è forse il portavoce.
La madre assiste a tutto questo impassibile, senza dire una parola, ma tradendo con le espressioni del suo volto un disagio nei confronti degli ideali che il padre tenta di trasmettere ai figli. La donna, piuttosto, incoraggia loro a seguire “la via della Grazia”, anzichè quella della Natura “che mira solo a compiacere sè stessa”. La Grazia accetta invece di essere offesa, oltraggiata, schiacciata dagli interessi malvagi degli uomini, che non sono capaci di credere profondamente in lei.

Il conflitto (o la convivenza?) tra Fede e Natura è analizzato a fondo dal film. Ma se dalle prime immagini si direbbe che la seconda prevalga sulla prima, essendo capace di provocare catastrofi alle quali nemmeno Dio riesce a porre freno, nella parte conclusiva di questa parabola sulla vita, Malick sembra dirci che, mentre la Natura inevitabilmente sopprime le nostre esistenze terrene, la Fede ci accompagna oltre, in una dimensione di durata infinita, di pace e beatitudine, riunendoci con i nostri cari in un’anima sola e donandoci la vita eterna. Vita che non è nient’altro che un albero, l’albero della vita, che nasce, cresce, ma non muore mai.