Serate diverse, serate romane – Mavi

Avete mai acquistato un libro solo per la copertina, visto un film solo per il titolo o assistito ad uno spettacolo teatrale in base alla sua locandina?
Ecco, noi abbiamo scelto Mavi in base al nome. E’ nato tutto per gioco, ma poi le regole ci sono piaciute. Ovviamente non abbiamo mancato di informarci online prima di prenotare, ma devo dire che le ottime recensioni degli internauti sono state confermate dalle nostre impressioni subito positive sul locale.

Iniziamo dal nome, perché si tratta di una donna, amica dei proprietari, molto legata ad una sua parente francese, una zia che amava chiamarla “Ma vie”, “La mia vita”.
Da questo dolce e affettuoso appellativo è derivato il nome del ristorante, da qualche anno trasferitosi nella attuale location che lo ospita sul Lungotevere di Pietra Papa, zona ex Città del Gusto.
Il locale è accogliente, curato, con quel tocco di moderna eleganza che non guasta e che ultimamente si ritrova nei bistrot o nei pub di nuova apertura: tavoli di alluminio e ferro battuto apparecchiati con tovagliette, sedie reclinabili in stile canteen diverse tra loro, lampadine che scendono lunghe e nude dal soffitto, sgabelli molto urban e banconi più alti che movimentano l’armonia della sala. La luce tenue, comunque ben studiata, aumenta la sensazione di calore e piacevolezza che si avverte. Le dimensioni sono contenute e il servizio è affabile, amichevole, molto presente sin dall’accoglienza.
In entrata un bancone bar e un reparto mixology a vista ci fa presagire che il locale è molto frequentato anche per il dopo cena. Ma la cucina stessa ci lascia assai soddisfatti.
Ordiniamo sei degli otto antpasti presenti in carta, spaziando tra carne, pesce e prodotti caseari (a giudizio dell’intera tavola, il polpo, le polpette di baccalà e la mozzarella di bufala fritta si aggiudicano il riconoscimento di migliore entrée), e poi ognuno prosegue con il suo piatto. Prediligiamo i primi, tra farfalle fatte in casa ripiene di gamberi, fiori di zucca e salsa cacio e pepe, gnocchetti di bottarga in crema di piselli e spaghettoni Mancini alla carbonara (la portata meglio realizzata!).
Buono anche il cestino/sacchetto del pane, con una focaccia genovese eccezionale. Qualche carenza nella carta dei vini che non propone vini rosati e che presenta etichette non effettivamente disponibili all’ordinazione.

Veniamo al capitolo dolci che, sapete, mi sta  molto a cuore. Ogni volta che leggo un menù dei dolci, vorrei farmi solleticare da qualche proposta insolita, sono sempre molto attratta dalle creme ed in particolare dal cioccolato, ma non disdegno  i dessert meno tradizionali, anzi. Cerco di evitare i grandi classici: tiramisù, millefoglie, semifreddi, crema catalana. Stavolta mi faccio convincere da un’amica che mi chiede di smezzare un tiramisù,  ma quando il cameriere si presenta con due piatti e due porzioni, accetto – non così a malincuore – di accaparrarmi una porzione intera. E’ un grave peccato rimandare indietro una portata, seppur si tratta di un errore della cucina, e il crimine è ancora più imperdonabile se ovviamente parliamo di un dolce…
Ora, il tiramisù fai-da-te sarebbe un affronto per i cultori di questo dolce, i quali sostengono che il tiramisu debba essere cremoso, ma compatto, amalgamato negli ingredienti e poi abbattuto, per evitare che il biscotto non comunichi con il caffè, il caffè con la crema e la crema con tutto il resto. E’ vero, non si può controbattere, ma è anche vero che va apprezzata l’originalità di una presentazione fuori dal comune, specialmente per un dessert che è tra i più rivisitati e reinterpretati del mondo, presentato nei contenitori più insoliti, dai vasetti alle ciotole di terracotta, ai barattoli di vetro usati tipicamente per le composte, le marmellate e la conservazione degli alimenti.
Il tiramisù di Mavi ha la crema dentro un barattolino, il caffè dentro la sua moka, i biscotti adagiati sul piatto e la ciotola dove andrebbero composti i vari strati leggermente sporcata di cacao, disponibile in quantità maggiore dentro un dispenser al centro del vassoio degli ingredienti. Okay, se gli ingredienti potrebbero risultare un po’ slegati tra loro, va ammesso che si sta gustando un altro dolce, un dolce a sé, che non rispetta i canoni tradizionali e che di tradizionale ha solo il nome. Ma mi è piaciuto, una porzione intera era d’obbligo.

In ogni caso, immagino che il rapporto tra innovazione e tradizione, sperimentazione ed aderenza a ricette e gusti originali sia un tema di grande dibattito nel mondo della gastronomia.
Io non sono una purista ed una integralista della cucina, mi piace la varietà, la ricerca, apprezzo il tentativo di azzardare e modificare, rielaborare stili noti e già visti. Non mi faccio nemmeno entusiasmare da una carbonara descritta come “nido intrecciato di spaghetti avvolti in una emulsione di uovo, pepe e parmigiano bagnata da una pioggia di gocce di pancetta croccante” perché di nessuna novità si tratta.
Giudico una esperienza per quella che è, una cena per le emozioni che mi trasmette ed un cibo per la piacevolezza che ricavo nel degustarlo e assaporarlo. Da Mavi mi ho amato la proposta gastronomica, la qualità e la realizzazione dei piatti. Mi è piaciuta l’atmosfera ed ho passato una bella serata. Ci tornerei.

Starway to Heaven – Imago, Hotel Hassler

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L’esperienza in un ristorante stellato è assai difficile da descrivere a parole.
Le foto aiutano in questo caso – pensate che fino a qualche anno fa nei ristoranti di un certo livello era vietato fotografare i piatti – e Instagram, il social network eletto strumento d’eccellenza per l’enogastronomia, lo dimostra ampiamente.
Vi lascio pertanto una galleria di immagini che comunque non riusciranno mai a sostituire l’emozione di ammirare ed assaggiare quei piatti, ma anche di sedere di fronte ad una vista invidiabile, come se si fosse ospiti di un cinema esclusivo con un panorama mozzafiato incorniciato in un maxi schermo ad alta definizione e in 3 dimensioni.
A dir la verità, il tavolo a noi riservato, e la poltrona a me concessa dal personale di sala, faceva un tête-à-tête con San Pietro, così vicino ed imponente di fronte a me da avere l’impressione di poterlo quasi raggiungere in salto. Ma non c’è solo quella cupola: ci sono i tetti di Roma, il monumento a Vittorio Emanuele, il Quirinale, la luminosa magia del centro storico estendersi in lungo e in largo, per non parlare di Trinità dei Monti che sarebbe da toccare con le dita se solo ci si potesse affacciare da quella splendida terrazza.
Una location incantevole, senza dubbio. Come da foto, ma anche di più.
Il ristorante è raccolto, molto intimo, e non ha quel traboccante sfarzo che può disgustare; è al tempo stesso misurato, elegante e raffinato, così come tutto lo staff di sala che ci ha serviti ed assistiti con una maestria unica.
Nessun dettaglio è lasciato al caso, niente sbavature, nessuna frizione.
La cura con la quale veniamo accolti al tavolo, consigliati, fatti sentire completamente a nostro agio (e non fuori posto come potrebbe facilmente avvenire in un luogo del genere) è notevole e probabilmente uno dei fattori fondamentali che rendono Imago un indirizzo stellato.
Immagino che la gestione della sala abbia la sua rilevanza all’interno della valutazione complessiva di un ristorante, ma di certo non può mancare l’anima del ristorante stesso: la sua cucina.
Inutile sottolineare che il menù degustazione è l’opera principe dello chef (Francesco Apreda, qui su Instagram, molto cortese nel suo giro tra i tavoli per conoscere gli ospiti della serata) e in un certo senso la dichiarazione di intenti del ristorante. Impossibile non provarlo e impossibile non rimanerne sbalorditi.
Partiamo dal presupposto che i piatti serviti non hanno niente – o poco – a che fare con i sapori più o meno tradizionali cui siamo abituati. Si tratta di pietanze che sembrano appartenere ad un altro pianeta, nelle quali stupisce, al di là della magnifica presentazione visiva e magistrale composizione a mo’ di opera d’arte, l’accostamento di sapori, consistenze, sentori, scioglievolezze.
Il risultato che ne deriva è alchimia pura. Esattamente come un quadro può trasferire mille svariate sensazioni, più o meno coincidenti con le intenzioni del pittore, così un piatto sprigiona un susseguirsi di Emozioni, non confinate, ovviamente, solo al palato e alla dimensione sensoriale del gusto. Sarà che sono sensibile, sarà che mi emoziono facilmente, sarà che vivere i momenti con le persone giuste amplifica la nostra capacità di avvertire e provare sentimenti, ma io mi sono commossa assaggiando ognuna di quelle meraviglie.
Non c’è cosa più bella che rendere nostra una esperienza fatta di stimoli esterni e trasformarla in una Esperienza intima, anche qui con la E maiuscola, per rielaborarla con il nostro occhio interiore e percepirla nella sua Essenza. Un po’ come si fa con uno splendido tramonto, o di fronte ad un paesaggio, ad una bellezza naturale e alle più svariate forme d’arte e manifestazioni cultuali.
Emozione, Esperienza, Essenza. Ciò che ti lascia una serata in un ristorante stellato e dove una scrutatrice di universi come me non avrebbe potuto non esserne trasportata.
Non esagero quando sostengo che certi vissuti ti rimangono addosso, esercitano un potere su di te che va oltre il singolo momento in cui tale potere prende forma. Ti accompagnano per le ore a venire, per i giorni seguenti, e forse non ti abbandoneranno mai… come in un meraviglioso sogno dal quale non vorremo mai risvegliarci.