Diario di viaggio: dove mangiare sull’isola di Rodi

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In Italia abbiamo ristoranti, pizzerie, trattorie, osterie, stuzzicherie, vinerie, friggitorie e birrerie. Senza parlare dei format presi in prestito – almeno nel nome – dai nostri colleghi esteri, inglesi, francesi, talvolta spagnoli: bistrot, brasserie, pub, cocktail bar, bodega de tapas. 

In Grecia, e a Rodi in particolare, regnano incontrastate le taverne. Spesso a conduzione familiare, sicuramente rustiche ma calde ed accoglienti
Nel nostro viaggio abbiamo provato due taverne caratteristiche, dove abbiamo assaggiato la cucina tipica dell’isola, per lo più a carattere pastorizio, fortemente legata alla terra

La prima sera abbiamo mangiato da O’ Iannis Taverna, gestita dal simpatico Gianni, un signore alto sulla settantina che parla anche un po’ di italiano. La taverna si trova a Koskinou, il villaggio ove abbiamo alloggiato in un appartamento, e l’atmosfera è sicuramente meritevole. I tavoli sono disposti lungo i vicoli, occupando praticamente tutta la zona calpestabile che in orario di cena diventa off limits. Il tutto è arricchito dai colori di porte, mura e pareti (azzurro, bianco, blu, come raccontavo qui) e dalle piante rampicanti che creano un piacevole pergolato e una esclusiva copertura. 
I prezzi sono modici, dagli antipasti ai piatti principali (ovviamente non vi è la distinzione tipicamente italiana tra primi e secondi). Noi abbiamo ordinato vari antipasti: salsicce locali, tzatziki, frittelle di patate e zucchine e pita. Come piatto principale abbiamo scelto un souvlaki di maiale da dividere. Acqua, vino e dolce al cucchiaio finale, conto €29 in due. 

A Rodi Town, la nostra ultima sera, abbiamo cenato da Ta Kardasia, una taverna molto curata nei dettagli, dallo stile rustico ma al
tempo stesso elegante, e in pieno centro città. Il plus è la terrazza che, seppur molto ventosa durante la nostra cena, offre una vista suggestiva sui tetti e sugli edifici della città, evitando il caos turistico del piano strada. Il menù prevedeva anche piatti di pesce, ma abbiamo comunque deciso di orientarci sulla carne. Al via dunque gli antipasti: moussaka, polpettine al sugo speziate e saganaki, gustoso formaggio fritto. La pita, calda e irresistibile, l’abbiamo chiesta due volte. Come piatto principale abbiamo scelto una portata tipica, il Kleftiko Stifado, agnello cotto in cartoccio insieme a verdure e patate. Il piatto è da condividere e arriva a tavola che è ancora tutto da “scartare”. 
Dolce della casa offerto (ahimè niente baklava…), acqua e vino locale. Conto €50. Chiaramente la location e la cucina sono da considerarsi ad un livello più alto della taverna della prima sera. 

Chiudendo il capitolo taverne, due gourmandise come noi (sempre per sfruttare un termine francese) non potevano non concedersi una cena un po’ più elaborata con cucina, per l’appunto, gourmet. 
A Lindos abbiamo mangiato in un posticino che solo per le sue due terrazze con vista magnifica sulla città vale una visita. Non solo, ha anche una piccola piscina subito alle spalle della roccia sulla quale si erge l’acropoli, musica di sottofondo, luci soffuse e camerieri che ti versano persino l’acqua. Insomma, un vero e proprio ristorante stavolta, anche se il nome si mantiene sul vago: Cesar Meze Bar. I prezzi dei piatti e le loro descrizioni fanno comunque subito capire il livello di ristorazione da aspettarsi. 

Ordiniamo due antipasti: feta lollipop – polpette fritte in pasta nera kataifi e polvere di pistacchio, farcite con mousse di feta – e moussaka explosion – un raviolo stile cinese ripieno di ragù di carne e patate, servito su un letto di crema di melanzane e pomodorini confit. In entrambi i casi, una vera scarica di piacere e di sapori afrodisiaci.
Proseguiamo con gamberi in tempura, serviti a mo’ di sushi, e filetto di tonno con salsa guacamole affumicato. 
Per concludere in bellezza non possiamo non gustarci due dessert: baklava rivisitato con crema al pistacchio e cheesecake ai frutti rossi con gelato. 
Acqua e una bottiglia di vino bianco isolano, conto €110. 

Ci sono stati altri posticini dove abbiamo mangiato per pranzo o dove ci siamo fermati per un aperitivo. Direi che vale la pena segnalarli. 

Ad Anthony Quinn Bay abbiamo pranzato nel bar con vista sulla baia. Senza pretese, ma ottima pausa ristoro con ombra, panorama, una caesar salad e un dakos, frisa a base di olive, pomodorini e feta. Acqua e birra, conto €16. 

A Kalami Beach ci siamo fermati al beach bar and restaurant sulla spiaggia. Il nostro spuntino veloce è stato a base di acqua, carbonara greca e ceviche di pescato del giorno. Conto sopra la media, circa €30. 

Per godere del tramonto sul mare abbiamo attraversato l’isola in senso orizzontale (come spiegavo qui, le spiagge più belle di trovano nella parte orientale, ma godono dell’alba). 15 minuti in scooter ed eccoci arrivati a Villa Di Mare, un hotel a 5 stelle con piscina e beach bar. Qui abbiamo affiancato ad un cocktail buonissimo a base di pera e ad un calice di vino alcuni sfizi per aperitivo. Conto €30, giustificato per l’ottimo trattamento, il comfort del luogo e la splendida vista sul tramonto e persino sul profilo indefinito delle coste della Turchia. 

Non abbiamo solo mangiato durante la vacanza! Abbiamo girato spiagge, baie, calette, città e siti archeologici. Per l’itinerario completo con tanto di consigli di viaggio utili a programmare una prossima vacanza, leggete qui.

… Intanto buon appetito!

Serate diverse, serate romane: mangiare la carbonara da Luciano Monosilio

Un nome una garanzia.

Ora sarebbe da chiedersi se già pronunciando “carbonara” si ha la certezza di andare sul sicuro, o se è il nome di Luciano Monosilio – semplicemente e calorosamente Luciano è l’insegna del ristorante, dal sottotitolo Cucina Italiana – rappresenta il “sigillo di qualità” di un piatto che, almeno per quanto mi riguarda, regna incontrastato nell’olimpo dei primi della tradizione romana.

Chef stellato che fino a qualche mese fa governava la cucina del ristorante Pipero, Luciano Monosilio ha dato vita al suo progetto solista suonando le corde che gli erano più congeniali e che lo hanno reso noto al pubblico.

La sua carbonara è una specie di leggenda ed è sempre stata un desiderio proibito del mio inconscio, che avrei prima o poi soddisfatto, a cena da Pipero o dovunque essa potesse trovarsi – con tutta probabilità mangerei la sua carbonara pure a portar via, in ogni momento della giornata, tanto insistente è l’appetito che solletica.

Ma andiamo con ordine.

Il locale interno è rustico, con maioliche e pareti dai colori verde acqua; lo stile si avvicina molto di più ad una trattoria che ad un ristorante gourmet.

 

Sui tavoli le posate sono nascoste dentro una scatola di latta che riporta il nome del locale; non ci sono tovaglie, in linea con gli ultimi e più recenti trend di mise en place.

Nel menu, una grande pagina unica, gli antipasti spaziano tra burrata, supplì e polpette, al sugo o di bollito.

Troneggia tra le proposte dei primi ovviamente lei, la regina delle paste, la sovrana degli spaghetti (e se preferite la pasta corta, mi dispiace, cucinatevela a casa perché questo posto non fa per voi). La carbonara, musa, dea e gaudente ispirazione di pranzi e cene. Lei che popola i sogni e le fantasie di ogni italiano con un minimo di cultura del cibo. Lei che stuzzica l’appetito solo a sentirla nominare.

La carbonara di Luciano è una porzione discretamente abbondante, arriva sul tavolo e sprigiona già un profumo che manda in tilt l’olfatto e le papille gustative in fase preparativa. Spaghetti (tanti) fatti in casa, uovo, pepe, guanciale, pecorino e Grana Padanoin uguali quantità.

La cremina è alla vista estremamente invitante, e si rivela tale anche all’assaggio, sciogliendosi in bocca mentre si mastica la pasta. Questa è sapida al punto giusto, non eccessivamente pepata né carica di pecorino, addolcito dal Grana sapientemente dosato. Il guanciale è croccante all’esterno ma morbido e succulento all’interno, lo spaghetto ha una consistenza invidiabile e raccoglie che è una meraviglia. Le componenti si fondono armoniosamente in un equilibrio di sapori che esplodono nel palato in tutta la loro intensità sprigionando una sensazione di enorme piacevolezza.

Una etichetta attaccata al piatto con una mollettina riporta la ricetta: niente segreti, niente ingredienti misteriosi. Senza trucco e senza inganno. Incredibilmente buona, buona così, così come una carbonara deve essere. Verace e genuina.