Spencer [Pablo Larrain]

Spencer

Il merito di un regista è quello di non dipingere con tratto netto e giudicante il ritratto dei suoi personaggi, lasciando che lo spettatore faccia le sue valutazioni e legga, tra le righe di mille sfaccettature, quella che più è affine alla sua sensibilità.
Così Spencer non oltrepassa mai quella linea sottile tra buoni e cattivi, tra giusto e sbagliato, navigando lungo il confine, sempre più indistinto, tra la salute e la pazzia.

Poi c’è lei, che domina la scena cinematografica, che esplode sullo schermo mentre il suo vicino, nella sala accanto, storico partner dal noto pallore sin dagli esordi, fallisce nell’interpretazione di un pipistrello che non sembra diverso dal vampiro che gli è stato  cucito addosso.
Lei che dovrebbe dare una lezione di recitazione al buon vecchio amico Pattinson, il quale non ha ancora distinto il suo Batman dall’immortale succhiasangue niente-uomo-niente-emozioni.

(Nda: Il parallelo con Batman non è dovuto solo all’uscita quasi simultanea nelle sale o alla visione di entrambe le pellicole a meno di 10 giorni di distanza, ma anche al dualismo Stewart-Pattinson, giovani protagonisti della serie (s)fortunata di Twilight.)

La bravura della Stewart è totalizzante. Il volto di lei è in grado di restituire ogni singolo mutamento nello stato d’animo, ciascuna espressione che riflette quanto accade dentro: tormento, frustrazione, depressione e oppressione, ribellione, esasperazione, ma anche tenerezza, gioia, affetto e premura.
“Se non dico i miei pensieri ad alta voce, mi si leggono in faccia*
Così Diana si confida allo Chef capo brigata, incaricato di servire quei pasti interminabili e accuratamente pianificati in ciascun dettaglio dei giorni di Natale a Sandringham, la tenuta deputata ai festeggiamenti.

Lo sguardo di lei è carico di una sincera e genuina tristezza e si rivolge mesto e sconsolato verso un futuro irraggiungibile, incomprensibile, inafferrabile da quel mondo preda di un costante immobilismo, dove il conflitto maggiore é quello tra apparenza e intransigenza. Lo sguardo, ancora lui, che manifesta il desiderio di una fuga dall’ossessione della vergine decapita Anna Bolena, un fantasma che la tormenta di giorno e di notte perché la donna teme di essere destinata alla stessa fine. Anche se i veri fantasmi di Spencer sono proprio loro, “loro sanno tutto“, i reali, delle sagome di cera appena intraviste che richiamano costantemente all’ordine, all’osservanza di certi comportamenti come rigorosamente vuole il rituale.

La via d’uscita è quindi affannosamente bramata da quella prigione dorata, sfarzosa, un carcere mascherato, un castello di algidità emotiva con le tende sigillate per evitare che “sa, i fotografi” vedano, spiino, carpiscano attimi di intimità essenzialmente umani, ma inammissibili per un reale.
Loro non vogliono che siamo persone
La fredda, ma giusta verità proferita da Carlo che semplicemente ha accettato la compresenza di due ruoli – la persona autentica, privata e la figura pubblica, esposta, artificialmente confezionata.
Non siamo altro che valuta
Non sarebbe difficile accettarlo, d’altronde è il compromesso per essere parte della famiglia reale, per entrare nel palazzi del potere e servire con reverenza e abnegazione la Corona d’Inghilterra.
Mi dispiace, pensavo lo sapessi“. Giustificazione a una Diana che freme, scalpita, lotta dentro di sé alla ricerca di un brivido, di una passione in una landa desolata da ogni sentimento e pulsione naturalmente umana.

Mentre Spencer attraversa una battaglia interiore che la conduce ad episodi di profonda depressione, pazzia e isolamento, si perpetuano tra le mura del palazzo-prigione le tradizioni intoccabili della famiglia, le abitudini ricorrenti e quasi sacre, le rigide etichette e i ferrei protocolli, come il rituale del peso prima e dopo le feste (perché l’ingrassamento degli invitati dimostra che si è stati bene e ci si è divertiti).
Qui dentro esistono solo passato e presente, e sono un tempo unico. Non c’è il futuro

L’insofferenza è indomita e il corpo è il primo colpevole, costretto in corpetti fin troppo stretti e in pizzi di gran lunga troppo festosi per l’umore di Lady D. La sfilata di abiti è meravigliosa, un corteo di sfarzo e – di nuovo- prevedibilità che rende anche un giorno di festa come il Natale svuotato di ogni significato e gioia terrena.

Poi le inquadrature, lunghe, lente, profonde, come profondi sono i saloni, i tavoli, i corridoi, sconfinati corridoi, intercapedine tra la vita di corte e quella da donna libera, indipendente a cui “piacciono le cose semplici, un po’ da ceto medio, che sono fuori moda“.
Complice la fotografia altrettanto grigia, quasi appannata, si accresce il senso di pesantezza che pervade l’opera, un ritratto psicologico su Lady Diana con tutto il suo universo caotico di sentimenti in primo piano sullo schermo.
Ed è un tutt’uno, un maremoto interiore che diventa tempesta di violini in sincro,  un crescendo di note tumultuose e impazzite che segnano l’inesorabile avvicinarsi del punto di non ritorno.
La musica non va in contrasto, ma accompagna, esalta e nobilita quel turbinio di emozioni, il borbottio incessante della voce interiore che sussurra e deve rimanere sommessa perché “they can hear you, loro sentono tutto“.

Eppure Spencer non vuole essere la condanna né dell’uno né dell’altro mondo, ma piuttosto il dipinto di un dramma profondamente umano di incompatibilità e incomunicabilità ancestrale tra l’essere e l’apparire. Si palesa così una fallimentare ricerca di equilibrio tra ruolo e libertà, autenticità e sembianza, tentativo fino a quel momento soffocato dalla rigidità di un microcosmo ancorato al passato e ai suoi fasti perduti. 


*Nota: i virgolettati potrebbero non essere fedeli in quanto si basano sulla mia memoria

Curiosità: Spencer non è il primo film biografico di Pablo Larraín che ha già diretto Jackie (2016) e Neruda (2016).

Diario di Viaggio: Matera

Ci sono città che fanno un certo effetto su alcune persone. Ognuno di noi è colpito in un modo o nell’altro da paesaggi, terre, architetture, paesi, senza che ve ne sia una spiegazione del tutto razionale. È un legame di pancia. Si instaura una relazione particolare con un determinato luogo, al pari di come avviene per le persone: una volta che lo/le rivedi dopo tanto tempo, qualcosa si sblocca e i sentimenti sopiti tornano alla luce.
Questo è quello che mi succede con Matera e che ho vissuto nuovamente durante la mia visita delle scorse settimane.

Ero già stata a Matera qualche tempo fa, ancor prima dell’anno d’oro della città, il 2019, quando era diventata Capitale della Cultura. Ma in quell’occasione ero di passaggio e il mio desiderio sin da allora era di dormirci e godermi la città di sera. 
Mai scelta fu più giusta. Matera di sera è un gioiello di rara bellezza. Non sono di parte, solo perché nutro una passione singolare per questa città, e non uso un modo di dire, ma qui davvero i Sassi sanno parlare. 
Cominciamo tuttavia dal principio. 

La struttura di Matera

Per arrivare a Matera da Roma ci vogliono circa 5 ore. Conviene muoversi con la macchina, non perché serva sul posto, quanto piuttosto perché i collegamenti ferroviari non sono ancora – purtroppo – efficienti.
È possibile parcheggiare, gratuitamente o a pagamento, prima del Centro Storico, che è la parte della città barocca, da non confondere con i Sassi, che sono due rioni della città stessa. 

Alloggiare nei Sassi è quello che consiglio. Oltre ad esserci moltissime dimore adibite a locazione turistica, è assolutamente caratteristico dormire in case-grotte,  giacché molte di queste si sviluppano con una parte edificata ed una scavata. I rioni Sassi sono due, il Caveoso e il Barisano, dalla conformazione più o meno simile (in realtà il primo è leggermente più esteso del secondo) delimitati dalla Civita contraddistinta dalla presenza del Duomo. Duomo che é un po’ come la Torre Eiffel a Parigi: lo vedi ovunque sei e diventa un punto di orientamento fondamentale per non perdersi nei Sassi.  La città barocca, come già detto, è chiamata Piano perché si sviluppa in pianura ad un livello superiore rispetto ai Sassi. 
L’intera cittadina di Matera sorge su un canyon, la Gravina, scavato nel corso dei secoli da eventi atmosferici quali venti, erosioni geologiche ed un fiume che si chiama ugualmente Gravina. La presenza di una vera e propria rupe si evince ammirando i Sassi da uno dei molti affacci panoramici del Piano, anche se vi sono punti meno noti, angoli nascosti che regalano scorci sempre nuovi e splendidi. 

Cosa vedere a Matera?

Vi sono dei luoghi di interesse sia nel Piano che nei Sassi, ma non vorrei limitarmi ad un elenco di “punti caldi” , bensì cercare di comunicare come mai questa città continua ad emozionarmi ogni volta che mi avvicino a lei, trasmettendovi le stesse sensazioni che provo nello scrivere questo diario.

Il Piano

Passeggiando virtualmente attraverso il centro, consiglio di cominciare il percorso da Piazza Pascoli dalla quale si gode un primo panorama suggestivo dei Sassi sottostanti. Nella Piazza si trova Palazzo Lanfranchi, che ospita il Museo di Arte Medievale. L’edificio nasce come Liceo Classico dove, per un certo periodo della sua vita, insegnò Giovanni Pascoli ed è intitolato al vescovo che finanziò in gran parte la sua costruzione.

Partendo dalla Piazza si prosegue lungo via Ridola dove si incontra il Museo Nazionale di Matera che accoglie molti dei ritrovamenti archeologici dell’area della Murgia Materana, una delle prime zone ad essere abitate dall’uomo.

Cenno storico: Matera è davvero una delle città più antiche al mondo. I primi insediamenti umani risalgono a circa 10.000 anni fa e la zona è stata abitata per tutto il corso del Paleolitico e del Neolitico. Di recente i lavori di archeologi hanno portato alla luce lo scheletro di una balena che presto i Materani sperano di poter visitare al Museo, ove non è ancora esposta.

Cenno geologico: La presenza di un cetaceo e di diversi fossili marini (conchiglie, capesante), tuttora visibili sulle pareti dei Sassi, ci racconta che l’intera area materana era un tempo ricoperta dalle acque. La lampante dimostrazione di questo fenomeno è niente altro che la roccia nella quale Matera è scavata: la calcarenite. Una roccia che proviene dal mare.

Torniamo all’itinerario e proseguiamo lungo Via Ridola, lasciandoci sulla sinistra la Chiesa di Santa Chiara e la Chiesa del Purgatorio, con facciate molto decorate e piacevolissime da guardare. Piegando su Piazza San Francesco si raggiunge la gradevole Piazza del Sedile, così chiamata perché sede dell’edificio dedicato all’Amministrazione Comunale, il Sedile appunto. Ora lo stesso luogo ospita un Conservatorio, mentre il Comune si è spostato a Piazza Vittorio Veneto, raggiungibile percorrendo ancora Via Ridola che diventa Via del Corso (nel periodo di Natale tutta questa zona dà accoglienza a mercatini e luminarie).

Curiosità: In occasione della nomina come Capitale della Cultura nel 2019 sono arrivate a Matera alcune sculture di Dalì come parte di una mostra tuttora presente in città (divenuta quasi permanente in pratica). Le installazioni sono collocate nelle principali piazze sopra menzionate e, seppur distanti artisticamente dal resto dell’architettura cittadina, risultano molto gradevoli da vedere e ben mescolate con il tessuto urbano circostante.
Come del resto accade in tutta Matera, niente è lasciato al caso e ogni dettaglio è minuziosamente curato. Ciascuna luminaria natalizia è posizionata secondo un criterio e ogni decorazione segue un preciso disegno: non vi è spazio per le improvvisazioni (soprattutto nei Sassi) e questo rende la città assolutamente magica. Il bello è che, nonostante l’ordine, la coerenza e la regolarità degli addobbi, il risultato è del tutto naturale e l’atmosfera è magnifica: un presepe in scala naturale e un museo a cielo aperto.

La Civita e i Sassi

Addentriamoci nei rioni con la storia più antica di Matera. Come detto in precedenza, i Sassi sono così chiamati perché scavati dentro un vero e proprio “sasso”, la roccia della calcarenite. Le abitazioni di oggi sono in parte ricavate da grotte, in parte edificate. Questo mix di scavo e costruzione è la cifra costante e regolare che contraddistingue i Sassi, in una perfetta armonia con la natura che li ospita: Matera, come detto, sorge infatti su una delle parete rocciose del canyon Gravina.

I luoghi da non perdere nei Sassi sono sicuramente le Chiese Rupestri, di cui se ne contano circa 60 in tutto il territorio di Matera, salvo scoperte recenti che costringono a nuovi conteggi di volta in volta. Molte di queste sono piccole e nascoste tra i Sassi, le loro facciate prive di campanili si confondono con le tinte pastello e le forme “a puzzle” delle abitazioni.
La più famosa tra le chiese rupestri è sicuramente Santa Maria di Idris che sorge sopra un masso roccioso in posizione di supremazia sulla città, tanto che, salendo verso lo sperone, si può ammirare la distesa di Sassi che assume l’aspetto di una parete di sabbia. Alle proprie spalle, il canyon si rivela nella sua aspra profondità e, di lato, appare il Casalnovo, formato da piccoli varchi su tante grotte, porte scavate che delimitano minute caverne.
Contrariamente a quanto si possa pensare, ovvero che questa zona sia la parte più antica dei Sassi, la prima ad essere abitata visto il carattere rurale di certe aperture nella roccia, parliamo in realtà della periferia dei Sassi che, in quanto tale, non è stata curata in termini di estetica delle facciate e urbanistica degli edifici.

Nel Casalnovo consiglio di visitare la Casa Grotta, un vero e proprio “appartamento roccioso” abitato fino agli anni ’50 da una famiglia composta da 10 persone ed il proprio asino. La casa, dove sono stati riprodotti mobili e ambienti reali, apre un altro tema fondamentale per la città di Matera: il tema dell’acqua e della sua raccolta mediante le cisterne, alcune delle quali sono antichissime e profonde (la più grande cisterna sotterranea è il Palombaro Lungo). Per maggiori dettagli sulle cisterne suggerisco come approfondimento un video divulgativo breve, ma interessante.

Tornando al “quartiere” Casalnovo, è proprio questa area della città che fa nascere i presupposti della legge di sfratto dei Sassi, voluta da De Gasperi agli inizi degli anni ’50 (“Legge Speciale per lo sfollamento dei Sassi”  nel 1952).

Cenno storico: Le condizioni di abitabilità e salubrità, connesse alla scarsa igiene di questi luoghi, portano al forzato abbandono, a partire dal 1952, di tutti i Sassi che diventano una città fantasma per diversi anni, ai margini della città nuova. I materani si spostano nella Civita, gli edifici nei Sassi rimangono disabitati a lungo. È questo il periodo in cui i Sassi vivono il loro momento storico più buio: si trasformano in luogo di ritrovo di criminali e diseredati, covo di animali, cani randagi che convivono insieme a tossicodipendenti, ricettacolo di sporcizia, batteri e malattie. Insomma, lo stato di degrado e rovina prende il posto della vita quotidiana nei Sassi, in un decadimento che durerà per anni.
Solo agli inizi degli anni ’80 comincia un’opera di profonda riqualificazione del territorio e di valorizzazione urbanistica della zona dei Sassi: lo Stato stanzia diverse risorse e ingenti fondi per il loro recupero e il ritorno degli abitanti nei rioni, al punto da rendere i Sassi Patrimonio dell’umanità per l’UNESCO nel 1993. Un anno emblematico, un momento di meritato riscatto. Per approfondimenti sulla storia recente dei Sassi potete cliccare qui.

Accanto alle chiese rupestri si trovano tante altri edifici religiosi e chiese storicamente più recenti, tra cui San Pietro Caveoso che si apre sull’unica piazza dei Sassi, e il Duomo, la Cattedrale di Maria Santissima della Bruna e Sant’Eustachio, che svetta sulla Civita.

Curiosità: Lungo la scala per accedere al Duomo dai Sassi è stato girato l’ultimo film di 007 – No Time To Die. Pare che qui abbia avuto luogo la scena della moto, girata ovviamente con uno stuntman, e con l’ausilio di pedane e altri accorgimenti di scena. Chiaramente non è l’unico luogo di Matera che compare nel film. La città lucana si vede per ben 15 minuti all’inizio della pellicola ed è seguita da una serie di scene di Bond alle prese con i ruvidi paesaggi della zona pugliese di Gravina.
Matera è stata set cinematografico di diversi capolavori italiani e di Hollywood. Anche Mel Gibson la scelse per realizzare la sua Gerusalemme in The Passion.

Il Presepe Vivente: Quale scenario migliore di una Gerusalemme italiana per ambientare il Presepe Vivente? Nel nostro periodo di visita a Matera, infatti, la città è stata animata da una manifestazione ricorrente e molto sentita dai locali. Il Presepe Vivente, organizzato dentro ai Sassi, è un evento senza dubbio suggestivo e affascinante. Luci, musiche, ambientazioni e attori che interpretano i principali personaggi del presepe pensato da San Francesco. Un’iniziativa da non perdere se ci si trova a Matera nel periodo natalizio fino all’Epifania.

La Murgia Timone

La Murgia Timone è sostanzialmente l’altopiano che si affaccia su Matera al pari di una terrazza panoramica con una vista privilegiata sulla città. A separare la terrazza dai Sassi, c’è la gola del canyon scavata dal fiume Gravina, da guadare con tanto di ponte tibetano ad opera dell’uomo.
Partendo da piazza San Pietro Caveoso è possibile iniziare la discesa verso la gola, attraversare il ponte e poi risalire inerpicandosi sulla Murgia Timone con un sentiero che diventa un vero e proprio trekking di 2/3 ore.

Noi siamo arrivati sulla Murgia con la nostra macchina (15 minuti circa di distanza da via Lucana in centro città) il giorno della nostra partenza da Matera. Prima di lasciarla, non potevamo mancare all’appuntamento con uno dei panorami più affascinanti mai visti. La Murgia Timone, oltre ad essere costellata da altre chiese rupestri, segno di una zona abitata sin dalla preistoria, è un territorio brullo e con roccia a vista, battuto dal vento.

Nella tenera roccia sono state ricavate caverne di diverse dimensioni per mano di pastori in cerca di riparo dal maltempo. Questi rifugi creano delle finestre naturali sullo skyline dei Sassi e più si procede con la scoperta di altre grotte, più Matera si avvicina. Si ha la sensazione di toccarla con un dito, di raggiungerla solo sporgendosi un po’. Un effetto ottico che incrementa la scala degli edifici, la fenomenale impressione di aver scoperto la prima fila tra i balconi con vista Sassi. Una tribuna d’onore per assistere allo spettacolo più memorabile che ci sia.

Perchè visitare Matera?

Ho speso tante righe di descrizioni e di racconti, ho evocato immagini, metafore, sensazioni. Ma forse tutto ciò non era necessario, perché a Matera si può davvero dire che i Sassi sanno parlare.

Sono continuamente ispirata, stregata e affascinata da questa città che detiene a mio avviso un meraviglioso fascino decadente, sospeso e ipnotico. Il suo è un incantesimo che risiede in tante cose, alcune delle quali le ho raccontate già in questo articolo, mentre altre le ho apprezzate meglio in questa seconda visita, come un film che riguardi più volte traendo sempre messaggi diversi.

In particolare, in questa occasione, ho notato il magico legame che Matera crea con la natura, con il paesaggio, con la roccia sulla quale sorge. Un legame unico direi, che si percepisce in una interazione costante tra il costruito e lo scavato, l’edificato e il ricavato, l’intervento dell’Uomo e la mano invisibile di Madre Natura.
È incredibile come la roccia, da sempre considerata un ostacolo da superare, diventi a Matera alleata e amica, docile, tenera e malleabile, caratteristiche peraltro insite nella calcarenite stessa, che diventano però personificate come se ci trovasse a trattare con umani modi di essere.

Appendice al Diario di Viaggio

Il nostro itinerario in realtà non si conclude con Matera, ma, prima di rientrare a Roma, passa per Vietri, Salerno e Pompei. Per il resoconto di queste località, rimando al racconto fotografico che potete trovare sul mio profilo Instagram.