Personal training

Con queste temperature over 25°, settembre sta prendendo il posto di agosto. E l’estate, che si è detto quest’anno non essere mai arrivata, probabilmente si sta spostando di qualche mese. Il clima sta cambiando gente, il clima sta impazzendo,  così come impazziscono il mondo e la sua gente, in un degrado morale e psichico che risponde solo alle leggi della follia.
Ma non è questa la sede in cui discutere di antropologia culturale ed in effetti il post voleva trattare un argomento moooolto più leggero. Dunque, ricominciamo…

Con queste temperature over 25°, settembre sta prendendo il posto di agosto. E l’estate, che si è detto quest’anno non essere mai arrivata, probabilmente si sta spostando di qualche mese.
Alcune mattinate di questa estate settembrina le ho volute dedicare al mio corpo, che ho trovato alquanto appesantito dopo lo scarso movimento delle ferie.
Approfittando della piscina condominiale ancora in funzione, scendo all’orario di apertura e mi faccio qualche vasca. Per la precisione: due stile, due rana e due in apnea. Il dorso lo evito perché, non essendo quella del condominio una piscina olimpionica o semi-olimpionica, non ci sono segnali che indicano l’avvicinarsi del bordo vasca; indi mi troverei ogni due minuti a voltare la testa (facendomi naturalmente entrare l’acqua nelle orecchie, cosa fastidiosissima!) per controllare quanto manchi alla fine della piscina. In quanto al delfino (o farfalla, visto che mi pare siano la stessa cosa…), non ho mai imparato ad eseguirlo.
Dopo essermi goduta un po’ il sole ed essermi asciugata il costume alla bell’e meglio, risalgo a casa ed utilizzo il tappetino da palestra per diverse serie di addominali: 30,30 e 30. E ancora 30,30 e 30. Poi 10 sforbiciate, 10 dorsali, 10 flessioni.
Un bicchiere d’acqua per rinfrescarmi e via, di nuovo fuori casa per correre un po’ sul mio consueto percorso, che ho stimato essere circa 3 chilometri. Mi piace il percorso che mi sono scelta, è vario, discretamente lungo e parte proprio da sotto casa. Corro un po’ dappertutto: sui marciapiedi, sull’asfalto, sulle strade sterrate. Incontro curve, pendii più o meno dolci, tratti pianeggianti. Passo tra i bambini, tra le biciclette, tra i cani a spasso e gli anziani seduti in panchina; quando corro sul marciapiede ed abbandono il parco costeggio invece la corsia dedicata ad autobus, macchine e moto. Gli ultimi 100 metri li dedico ad uno scatto, il più veloce possibile, che mi porta fino al cancello, mettendo fine ai 20 minuti circa di corsa. Prima di risalire mi trattengo qualche minuto nel cortile per fare stretching e sciogliere i muscoli; poi mi dirigo verso casa evitando rigorosamente l’ascensore e preferendo le scale, dove faccio ancora qualche esercizio, come la corsa veloce, lo skip e i saltelli.
Quando rientro è quasi l’ora di pranzo, ma mi sorprendo a non avere né una gran fame, né una gran sete. Solo una voglia matta di buttarmi sotto la doccia (e picchiare mio fratello che mi ha fatto aspettare 10 minuti al portone senza che riuscissi ad entrare, in quanto lui, con le cuffie alle orecchie ed impegnato ad ammazzare qualche nemico virtuale in uno dei suoi maledetti giochi di ruolo, non sente il citofono che squilla ripetutamente!).

Spero di riproporre questi esercizi anche durante l’inverno, pur dovendo rinunciare alla piscina che, nonostante le temperature ancora molto calde, ha deciso di andare in letargo da metà settembre.

Diario di viaggio: Plan de Corones

Solitamente la “vacanza” sulla neve ha la durata di sette giorni, tant’è che è comunemente nota come “settimana bianca”. Ora, evidentemente questa denominazione è geograficamente circoscritta visto che esiste nella nostra lingua, in lingua francese (la, una semain blanche) ed in tedesco (die Wintersportwoche). Sinceramente non so con precisione come si dica in spagnolo, però sono certa che gli inglesi non parleranno mai di “white week” o “winter week” per indicare quel periodo di tempo che trascorrono sulla neve durante l’inverno. Quindi, o non ci passano sette giorni o non è proprio una loro abitudine andare a sciare con una regolarità tale da permettersi di creare nella lingua un’espressione ad hoc.
Comunque, al di là di questa considerazione linguistica alla quale nemmeno io so come sono arrivata, il mio soggiorno sulle Dolomiti non è durato classicamente una settimana, bensì cinque notti e quattro giorni, cosa che anche a me è parsa un po’ anomala al momento della prenotazione. Ma confesso che alla fine il tempo è stato più che sufficiente. Oltre ad essere giunti spossati e “rotti” (con ginocchia, gambe, piedi, schiene e più ne ha più ne metta…) alla fine dei quattro giorni di sci, possiamo ritenerci ampiamente soddisfatti.
Il comprensorio, infatti, l’immenso Plan de Corones, ce lo siamo più o meno girato tutto. La particolarità di questa località sta nel fatto che la montagna sulla quale si scia è detta “panettone”: ha esattamente questa forma ed è battuta di piste non solo su un unico versante, ma sui suoi tre lati. È possibile raggiungere la cima del “panettone” (Kronplatz – 2275 m) da tre località poste alle sue pendici: Brunico, Valdaora e San Vigilio di Marebbe (dove noi alloggiavamo). Questo significa che è anche possibile raggiungere questi luoghi sci ai piedi, percorrendo chilometri e chilometri di piste. Basti dire che la pista più lunga contava 7 km ed il suo impianto di risalita arrivava ai 4 km. Poche erano le discese più brevi e rare erano anche le seggiovie: tutte cabine, ovovie o funivie efficienti, pulite, calde, poco affollate, ma sopratutto protette da neve e vento. Siamo stati protagonisti di un malfunzionamento in una sola occasione, risalendo da Brunico verso Kronplatz e rimanendo fermi quasi 45 minuti a mezz’aria chiusi nell’ovovia. Fortunatamente nessuno di noi soffriva di claustrofobia e diciamo pure che quell’interruzione ci è servita per riposarci…
Ma ora faccio riposare voi ed i vostri occhi, lasciandovi solo con qualche fotografia di quelle magnifiche cime e di quegli splendidi paesaggi.
Addio monti…
Addio fiumi…