Il buongiorno si vede dal mattino.

Ci sono giornate, o meglio mattine, in cui la casa si sveglia a rate.
Anzitutto tocca alla mamma che ogni volta si sveglia prima di tutti, anche quando potrebbe dormire più a lungo, poiché cerca di arrivare in orario utile in ufficio in modo da poterne uscire ad un altro altrettanto ragionevole. E poi si tenta di evitare il traffico, perché se rimani imbottigliato sul Raccordo Anulare nelle ore di punta, rischi di non stapparti più. Ma al di là degli orari d’ingresso, la mamma si alza comunque di buona lena perché inizia, già nelle primi luci dell’alba, a sbrigare qualche faccenda: e svuota la lavastoviglie che è terminata già la sera prima, e prepara i panini ai figlioli che rimarranno a pranzo fuori, e apparecchia la tavola per la colazione degli stessi, e sveglia il figlio maschio che non si alza nemmeno con le cannonate…
Poi è la volta dell’uomo di casa che si desta a malincuore perché, se ha dovuto alzarsi dal letto a quell’ora, vuol dire che quel giorno il meteo non promette nulla di buono. Pioggia, cielo minaccioso o semplicemente incerto lo costringono ad anticipare la sveglia per poter prendere l’automobile anziché la moto. Ma se questo significa non bagnarsi, andare in macchina comporta l’impossibilità di usufruire della corsia di emergenza come si sarebbe fatto in moto e dunque lo sbarramento all’interno degli ingorghi delle ore di punta.
Poco più tardi, o quasi contemporaneamente, è il turno del fratellino (/one vista la stazza due volte più grande della mia). Esatto sì, quello che non si sveglia nemmeno con le secchiate d’acqua… E esortarlo ad alzarsi chè altrimenti rimarrebbe sotto le coperte per altri quaranta minuti ancora. E interrompere il suo stato di dormiveglia davanti alla tazza di latte, e invitarlo ad accelerare i tempi della colazione e del bagno, dove si richiude per ore intere, neanche fosse una donna.
Infine arriva la mia volta: da quando sono terminate le lezioni all’alba in università, posso dormire un po’ di più e muovermi con i mezzi nelle ore meno affollate. Adesso che sono invece finite tutte le lezioni ed è in corso la sessione invernale di esami, la permanenza sotto le lenzuola si prolunga, ma non giunge mai a superare le 9 del mattino, quando non può non iniziare la giornata di studio e/o di ripasso. Alla sera arrivo comunque spesso stanca, come se spostassi tonnellate di carichi durante la giornata, laddove l’unico carico di cui mi sobbarco è quello intellettuale.
E così va la vita, così, come piccoli soli che splendono fino a sera, sorgiamo tutti, chi all’alba o chi più tardi, dai nostri notturni giacigli.

Diario di viaggio: Plan de Corones

Solitamente la “vacanza” sulla neve ha la durata di sette giorni, tant’è che è comunemente nota come “settimana bianca”. Ora, evidentemente questa denominazione è geograficamente circoscritta visto che esiste nella nostra lingua, in lingua francese (la, una semain blanche) ed in tedesco (die Wintersportwoche). Sinceramente non so con precisione come si dica in spagnolo, però sono certa che gli inglesi non parleranno mai di “white week” o “winter week” per indicare quel periodo di tempo che trascorrono sulla neve durante l’inverno. Quindi, o non ci passano sette giorni o non è proprio una loro abitudine andare a sciare con una regolarità tale da permettersi di creare nella lingua un’espressione ad hoc.
Comunque, al di là di questa considerazione linguistica alla quale nemmeno io so come sono arrivata, il mio soggiorno sulle Dolomiti non è durato classicamente una settimana, bensì cinque notti e quattro giorni, cosa che anche a me è parsa un po’ anomala al momento della prenotazione. Ma confesso che alla fine il tempo è stato più che sufficiente. Oltre ad essere giunti spossati e “rotti” (con ginocchia, gambe, piedi, schiene e più ne ha più ne metta…) alla fine dei quattro giorni di sci, possiamo ritenerci ampiamente soddisfatti.
Il comprensorio, infatti, l’immenso Plan de Corones, ce lo siamo più o meno girato tutto. La particolarità di questa località sta nel fatto che la montagna sulla quale si scia è detta “panettone”: ha esattamente questa forma ed è battuta di piste non solo su un unico versante, ma sui suoi tre lati. È possibile raggiungere la cima del “panettone” (Kronplatz – 2275 m) da tre località poste alle sue pendici: Brunico, Valdaora e San Vigilio di Marebbe (dove noi alloggiavamo). Questo significa che è anche possibile raggiungere questi luoghi sci ai piedi, percorrendo chilometri e chilometri di piste. Basti dire che la pista più lunga contava 7 km ed il suo impianto di risalita arrivava ai 4 km. Poche erano le discese più brevi e rare erano anche le seggiovie: tutte cabine, ovovie o funivie efficienti, pulite, calde, poco affollate, ma sopratutto protette da neve e vento. Siamo stati protagonisti di un malfunzionamento in una sola occasione, risalendo da Brunico verso Kronplatz e rimanendo fermi quasi 45 minuti a mezz’aria chiusi nell’ovovia. Fortunatamente nessuno di noi soffriva di claustrofobia e diciamo pure che quell’interruzione ci è servita per riposarci…
Ma ora faccio riposare voi ed i vostri occhi, lasciandovi solo con qualche fotografia di quelle magnifiche cime e di quegli splendidi paesaggi.
Addio monti…
Addio fiumi…