In principio Dio doveva aver creato le giornate di 48 ore.

In principio c’era Google Reader.
Lo consultavo praticamente tutti i pomeriggi, cliccando sul pulsante della barra dei preferiti dove avevo salvato il link per accedervi più velocemente.
Vi confluivano i feed di tutti i blog che non seguivo direttamente (dunque non tramite la ricezione di email) ma delle cui novità volevo essere informata.
La questione era, però, che quasi tutti i pomeriggi mi trovavo a casa. Terminato lo studio, che iniziavo subito dopo pranzo, senza aver mai avuto l’abitudine di rilassarmi davanti alla TV, mi dedicavo a quella che tuttora è una delle mie attività preferite: “blogging”.
Quello che poi accade è che, circa un annetto fa, Google Reader annuncia la sua chiusura, cosa che mi spinge a cercare altri sistemi per tenermi aggiornata sui blog di mio interesse.
Scopro così Feedly, che gradisco peraltro moltissimo, almeno quanto il vecchio Google Reader, con in più il valore aggiunto della disponibilità di un’app per smartphone di facile consultazione.
Infatti, morto Google Reader, muoiono anche i miei pomeriggi casalinghi e la possibilità di servirmi di un’app “portatile”, da utilizzare ovunque io sia, è davvero provvidenziale.
Sorge ora un altro problema. È vero che posso leggere le pubblicazioni dei blog dappertutto, visto che lo strumento che mi permette di farlo, ossia l’Iphone, è sempre con me, ma è vero pure che me ne manca il tempo. Ora, infatti, incide poco il fatto che io mi serva di un computer o di uno smartphone. Quello che conta è disporre del tempo per farlo.
Il periodo è quello che è, dovete comprendermi e scusarmi per questo, ma vedo, prevedo ed intravedo che finirà tra poco. Deve solo passare questa maledetta sessione estiva di esami, che tra parentesi mi preoccupa più delle altre (o forse sono io che la penso così prima di ogni sessione) e sarò libera. Libera di addormentarmi, la sera, senza leggere delle nuove tecnologie applicate all’insegnamento delle lingue o senza sottolineare il manuale di storia della letteratura inglese, così superficiale sugli autori che più mi interessano, ma così dettagliatamente approfondito su quelli di cui farei a meno di sapere vita e opere. Libera di tirare fuori dalla borsa, quando sono in viaggio sui mezzi, uno di quei titoli di narrativa che aspettano di essere letti ormai da Natale e dal recente compleanno, anziché gli appunti di linguistica tedesca o di traduzione inglese. E quando non ho un libro tra le mani, mi ritrovo a scrivere. Scrivo ormai veramente poco per il blog (ad eccezione del Diario di viaggio, questo post ed i post per Libri in Metro, tutto quello che ho pubblicato di recente consisteva in bozze rispolverate dagli archivi) o comunque meno di quanto vorrei. Pubblico con meno regolarità, la distanza tra un post e l’altro si dilata, ma, grazie nuovamente a quella straordinaria invenzione che è l’app di WordPress, riesco a rispondere con tempestività ai commenti che mi lasciate. Leggo i vostri post molto raramente, privilegiando quelli che mi arrivano via mail, per una questione di spazio nella casella, anche lei desiderosa di essere il meno “sovraccarica” possibile. Pertanto sono qui a porvi le mie scuse per questa mia lontananza dai vostri universi e questa mia assenza nei commenti ai vostri articoli. Tale situazione mi rammarica tantissimo e spero di potervi porre rimedio a breve, anche se già so che dovrò almeno attendere l’arrivo dell’estate, salvo qualche rara occasione in cui potrei riuscire a leggere qualcosa da Feedly. In realtà mi spaventa persino aprirlo, poiché, conoscendomi, di fronte alla voce “14783 articoli non letti” entrerei letteralmente nel panico e sarei presa dall’ansia di non essere in grado di recuperarli tutti. Per tale ragione, in questo periodo pre-maledetta-sessione-d’esame non vorrei aggiungere altra ansia a quella che già abbondantemente mi investe.

In principio c’erano 24 ore. Forse dovrebbero diventare 48. Dio avrebbe dovuto pensare a questa alternativa: avrebbe creato il mondo in meno giorni e si sarebbe potuto anche concedere più tempo per riposarsi.

Diario di viaggio: Treviso, Verona, Trieste

Primo giorno, domenica.

Dopo la tradizionale colazione di Pasqua (nel senso che è tradizione farla, non che la mia colazione sia stata la tradizionale colazione salata), montiamo in macchina con destinazione Veneto. Il viaggio di andata è quello che ogni automobilista desidererebbe: strade ampie, corsie vuote, niente camion e persino le stazioni di sosta deserte (ci credo, tutti “zampe sotto il tavolo” la domenica di Pasqua…)! Ci viene in mente il verso di una famosa canzone: “autostrade deserte, ai confini del mare…” Ma non ci stiamo dirigendo verso il mare, anzi. La nostra base durante questi quattro giorni sarà Preganziol, una piccola frazione di Treviso, cittadina che scopriremo essere davvero deliziosa. Arrivati a destinazione, DSC_2sistemiamo le valigie, facciamo un giro di ricognizione nell’appartamento (accompagnato dalle rituali foto ricordo della sistemazione!) ed usciamo per visitare il centro di Treviso.
La provincia veneta ha la particolarità di essere attraversata da canali, cosa che la rende una sorta di Venezia in miniatura. In realtà il paragone è un po’ azzardato, ma il fiume Sile che scorre tra e sotto le sue viuzze crea degli scorci davvero suggestivi. Inoltre non mancano palazzi con portici, balconcini e finestre che ricordano molto l’architettura veneziana, oltre a stupendi affreschi da scovare all’interno dei suddetti portici, ancora più affascinanti per il fatto  di essere appunto nascosti. Il centro, assai ristretto ma al tempo stesso veramente grazioso, si concentra tra Piazza dei Signori ed il Duomo, i quali sono collocati lungo la stessa arteria, via Calmaggiore, da un lato della quale si sviluppa la Treviso by night. Il Veneto è la patria dello Spritz e non possono pertanto mancare innumerevoli locali, cantine, wine bar e stuzzicherie dove consumare un aperitivo in piedi o seduti davanti ad un tagliere di salumi e formaggi. Ma se dello Spritz sapevamo già in abbondanza prima di partire, mai avremo immaginato che in Veneto ci fosse una cultura così forte del gelato. I locali di aperitivi si succedono lungo le vie del centro alternandosi con le gelaterie, tutte con vetrine molto invitanti. Ma noi, dopo una cena tipica in un posto tipico (un ristorante sotto i portici) ne scegliamo due. La prima è quella che ci aveva attratti sin dalla nostra prima passeggiata in centro: la gelateria di Stefano Dassie, il quale pare sia (o sia stato) campione italiano e quarto classificato ai campionati europei con il suo cioccolato che non posso fare a meno di assaggiare. E dire che era eccezionale è dire poco. Già la consistenza del gusto, soffice, poroso come una mousse al tocco del cucchiaino, rivela la sua bontà. Assaggiamo anche la cassata ed un gusto tanto particolare quanto ottimo: ricotta, caramello e cannella. La seconda coppetta la prendiamo invece in una gelateria che si trova poco più avanti, nella zona della piazza principale. Qui scegliamo un solo gusto, di cui ci innamoriamo immediatamente: ricotta e pere.
Mentre ci allontaniamo dal centro, degustiamo il gelato ed il silenzio della città, interrotto solo dallo scrosciare dell’acqua che ogni tanto, inaspettatamente, ci troviamo al nostro fianco.

Secondo giorno, lunedì.

La scelta del luogo dove trascorrere qualche giorno per Pasqua è ricaduta su Treviso poiché il mio ragazzo ha dei parenti che abitano nelle vicinanze, precisamente a Quinto, frazione a pochi chilometri dal capoluogo di provincia. La giornata di Pasquetta la trascorriamo insieme a loro.
DSC_0006_2In mattinata facciamo un giro a Badoere, e passeggiamo sotto i portici della sua piazza tonda, teatro della manifestazione dell’asparago bianco, uno dei prodotti più tipici di quelle parti. La giornata non è eccezionale, quindi optiamo per un tour in macchina nella campagna circostante. Ammiriamo, dai finestrini bagnati dalle gocce di una sottile pioggia stile londinese, l’andamento del Sile ed il suo incanalarsi tra le case, alcune delle quali sorgono direttamente sull’acqua. Ogni tanto per strada incontriamo qualche ponticello e così capiamo di stare transitando sopra il corso del fiume, tanto pittoresco tanto gelido di temperatura. Non possiamo non gettare uno sguardo alle numerose ville che ci affiancano lungo il tragitto: una più bella dell’altra, introdotte da cancelli signorili e circondati da giardini rigogliosi, sono quasi inquietanti per la loro solitaria imponenza.
Nel pomeriggio ci rechiamo invece a nord, verso Valdobbiadene, terra di vini e prosecchi, tra i quali è diventato leggenda il famoso ed ormai introvabile Cartizze. Il paesaggio che si ammira in automobile, mentre si sale in una strada tutta curve, è strepitoso: vigneti su vigneti si estendono a perdita d’occhio e si ha difficoltà a capire dove terminino. Mai vista una distesa così vasta di uve! Particolare è la sosta nell’Osteria senza Oste, un casale che il proprietario ha messo a disposizione di chiunque voglia consumare uno spuntino a base di salumi, formaggi, pane e vino.DSC_0017_2 All’interno del casale si trova tutto l’occorrente per organizzare un pasto veloce, dal cibo alle stoviglie di plastica, compreso ovviamente il cavatappi per l’immancabile bottiglia. Chi riscuote? C’è una cassa che però non è presidiata da nessuno: si paga con un’offerta libera. Ogni tanto il proprietario si fa vedere, controlla quello che manca e rifornisce i viveri della sua osteria. I cartelli invitano chiaramente al rispetto dell’ambiente e del luogo, che pare però essere stato multato con diverse migliaia di euro per il tipo di attività che conduceva. Ad ogni modo, l’Osteria senza Oste continua ad essere frequentata da decine e decine di persone a tutte le ore del giorno.

Terzo giorno, martedì.

La prima parte della giornata è dedicata al puro svago, visto che decidiamo di trascorrerla a Gardaland. Il parco è piuttosto grande (dovrebbe essere, se non erro, il più vasto d’Italia) e conta tantissime attrazioni mozzafiato, montagne russe con forti scariche di adrenalina ed innumerevoli punti di ristoro. Nonostante ci fossimo attrezzati con il pranzo da casa, non rinunciamo a delle gustose e rustiche patatine fritte in un locale stile Far West, mentre sopra le nostre teste sfrecciano gambe a penzoloni da una montagna russa ad altissima velocità.
DSC_0044_2Usciamo dal parco abbastanza “cotti”, ma non riusciamo a dire no ad una visita a Verona, città con un fascino straordinario e con dei colori favolosi. D’altronde la distanza tra le due località non è molta. Impieghiamo quasi di più a trovare parcheggio, impresa così difficoltosa che, dopo diversi giri senza meta, ci arrendiamo e lasciamo la macchina in un parcheggio coperto nei pressi di Piazza Bra’. Il nostro mini-tour inizia proprio da lì: ammiriamo l’Arena, passeggiamo lungo via Mazzini, svoltiamo in via Cappello e ci rammarichiamo quando giungiamo davanti alla Casa di Giulietta che vediamo sbarrata con un cancello di ferro. L’orario di chiusura (di cui però non eravamo informati) è alle 19.30. Noi siamo lì davanti alle 19.31. Ma non c’è storia. Sono fiscalissimi. A malincuore torniamo sui nostri passi e proseguiamo verso Piazza delle Erbe, deliziosa con le caratteristiche bancarelle in legno sormontate da un ombrellone bianco. Meritano uno sguardo anche le case affrescate che vi si affacciano così come l’affascinante Palazzo Maffei.
Ma la parte più suggestiva deve ancora arrivare. Dopo aver percorso Corso Cavour arriviamo a Castelvecchio e ci addentriamo nel PonteDSC_0106_2 Scaligero, sul quale ci tratteniamo diverso tempo, in attesa del tramonto, momento della giornata che esalta ancora di più i suoi caldi colori. Lo attraversiamo e ci troviamo così sull’altra sponda del fiume illuminata delicatamente dai lampioncini. Ceniamo attorno ad una botte nellOsteria del Bugiardo, un localino un po’ angusto ma molto grazioso. Il gelato non può ovviamente mancare e ce lo concediamo da Pretto, un’assai piacevole scoperta, dove assaggiamo gusti gourmet come latte e miele, fior di latte, noci e sciroppo d’acero o vaniglia, noci e zafferano.
Sempre con una coppetta tra le mani torniamo al parcheggio e salutiamo Verona, lasciandoci un pezzettino del nostro cuore.

Quarto giorno, mercoledì.

Si va oggi dalla parte opposta del giorno prima, verso est. Trieste è la nostra meta. Eh beh, andando da quelle parti non potevo non contattare la blogger che è nativa di quella città, della quale ci avrebbe fatto da guida impeccabile, oltre che da generosa padrona di casa. Chi mi segue avrà sicuramente notato tra i commenti la presenza di Marisa Moles, dalla quale di tanto in tanto ricevo anche un sacco di premi!
DSC_0141_2Ci incontriamo all’autogrill Duino e consultandoci velocemente decidiamo di cambiare i programmi che avevamo stabilito via mail, per via della chiusura della strada costiera che ci avrebbe permesso di visitare in mattinata il castello di Miramare. Posticipiamo dunque la visita al pomeriggio e ci dirigiamo a Trieste, nella quale entriamo percorrendo la strada della Barcarola e godendoci la vista del Faro della Vittoria che si innalza sulla costa. Parcheggiamo nella zona del porto e, seguendo i passi affidabili di Marisa, raggiungiamo il Molo Audace, così chiamato in onore della nave Audace che vi è attraccata dopo la vittoria nella Grande Guerra. Una breve passeggiata ai lati del Canal Grande ci conduce fino a piazza dell’Unità, bellissima per la sua “vista mare”. Intanto, alzando gli occhi, ci lasciamo catturare dal fascino dei palazzi in stile asburgico, impronta caratteristica di tutta la città. Tra questi edifici distinguiamo, dopo l’interessante spiegazione della nostra guida d’eccezione che ci porta ai tempi di Maria Teresa d’Austria, la regina che diede un forte impulso all’economia triestina, il palazzo della Assicurazioni Generali e quello della Borsa, un vero e proprio tempietto che si innalza imperante. Oltre all’economia, apprendiamo da Marisa che Maria Teresa doveva essersi molto interessata alla politica religiosa, facendo arrivare a Trieste professanti di diverse confessioni religiose. Notiamo infatti la sinagoga, una chiesa luterana, una evangelica e due chiese ortodosse, rispettivamente nella “variante” greca e serba. Camminando lungo Corso Italia ed arrivando di fronte al Teatro Verdi, veniamo colpiti da un’altra caratteristica della città: la presenza di moltissime caffetterie con tavolini all’aperto per condividere il rito del caffè, che sembra essere un momento particolarmente sentito a Trieste. Due passi per la città vecchia, corrispondente all’antico ghetto, una foto accanto alla statua di Svevo e poi una sosta per il pranzo, gentilmente offertoci da Marisa da Soria Rosadove abbiamo l’occasione di assaggiare delle specialità locali. Ricaricati con il cibo intraprendiamo la salita verso il colle San Giusto, non dopo esser passati davanti la chiesa di Santa Maria Maggiore e l’Arco di Riccardo, che risulta essere in parte inglobato in un edificio per la cui costruzione tale arco è stato utilizzato come parete (interessante anche dal punto di vista linguistico l’origine della denominazione dell’arco, originariamente porta di ingresso alla città ed in particolare situato lungo il cardo romano. Da “cardo” a “Riccardo” il passaggio è stato veloce e la lingua ha subito assorbito il cambiamento).DSC_0155_2
Nonostante la fatica per raggiungere il colle, arrivati davanti alla Basilica di San Giusto decidiamo di salire sul campanile, sopratutto per guardare da vicino le quattro famose campane suonate dai triestini alla vittoria della guerra. Per godere di un bel panorama, però, dobbiamo spostarci al Castello, il quale si erge accanto ai resti di una basilica romana, portata alla luce durante il periodo fascista. E’ particolare la struttura del castello che presenta bastioni di varie forme perché aggiornati via via alle nuove tecniche di difesa bellica. Per scendere dal colle percorriamo una strada alternativa che ci porta a passare per il Parco della Rimembranza e per La Scala dei Giganti. Prima di concludere il tour facciamo due passi lungo il Viale, zona alberata, e dunque fresca, caratterizzata sempre da una distesa di tavolini ed ombrelloni, e prendiamo un caffè nell’antico Caffè San Marco che, come ricorda Marisa nel suo blog, ha celebrato quest’anno i suoi 100 anni di vita.
Senza entrare nei dettagli nell’avventura che abbiamo vissuto per uscire dal parcheggio, passiamo direttamente a parlare della perla dell’intero viaggio: il castello di Miramare. In realtà le parole non servono a molto visto che ci sono già le immagini a parlare chiaramente. Credo che la magia, la poesia e la bellezza di quel luogo incantato, paragonabile in tutto e per tutto ad un angolo di paradiso, sia comunicata meglio dalle fotografie che da tutto il resto. Mi limito pertanto a consigliare vivamente una sua visita e a ricordare a me stessa di tornarci al più presto, dato che, purtroppo, non abbiamo avuto il tempo di scoprire il suo interno, con le sue sale ed il suo mobilio d’epoca. Camminando estasiati attorno al castello, lungo la terrazza che si affaccia su un mare cristallino protetto dall’istituzione di una riserva naturale, possiamo solo fantasticare su cosa si nasconde dietro quelle maestose finestre e, avvicinandoci alle vetrate, cerchiamo di sbirciare dentro e di fare un po’ nostra la meraviglia di quel luogo.
Se è vero che ogni viaggio ti fa riempire gli occhi delle cose belle presenti nel mondo, Miramare ha davvero il potere di riempire anche il cuore, guadagnandosi un posticino tutto per sé che non ce lo farà mai dimenticare.

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