Liebster Award… Ancora!

Come commento nel blog di Marisa, colei che mi ha assegnato il premio costituente oggetto del titolo in data 23 febbraio, ho scritto:

 Marisa, parli di periodi più o meno fruttuosi in quanto alla produzione di post. Ecco, il mio di adesso è del secondo genere, ma per motivi di tempo e non certo di mancanza di ispirazione! Nonostante ciò voglio mantenere fede a questa catena perché sono oltremodo onorata di essere rientrata nella tua Top 10! Quindi, non so quando, ma di certo non a breve, pubblicherò senz’altro un post in merito a questo graditissimo premio.

liebster blogger award

Quantomeno sono stata coerente con il contenuto del commento. Infatti, da quando ho ricevuto con mio immenso piacere il Liebster Award (per la terza volta consecutiva… uh-la-la!) ne è passato di tempo. C’è stato Napoli, c’e stato l’inizio delle lezioni del nuovo semestre, c’è stata la mancanza del mio iPhone con il quale avrei potuto iniziare ad abbozzare qualcosa per il post… Ma ora eccomi qui, non piangiamo sul latte versato e andiamo dritti dritti a rispondere alle domande poste da Marisa sul suo blog. Tuttavia, poiché sia il blog di Marisamoles che quello della Profonline sono stati insigniti dello stesso premio, i quesiti che troveremo nel post di Marisa sono 20. Da regolamento, viene richiesto di rispondere solo a 10 domande ed io mi atterrò a questo. Anche perché di Liebster Award ne ho vinto uno e non due! 😉

  1. Come è cambiata la tua vita da quando hai iniziato a scrivere un blog? Oddio, è passato così tanto tempo che… non me lo ricordo! E’ che non riesco ad immaginare una vita senza blog. Diciamo che se all’inizio era nato come un passatempo e lo consideravo alla stregua di un “diario”, non più segreto, bensì virtuale e condiviso, adesso è un’attività che mi prende tempo e richiede dedizione: un vero e proprio impegno che però porto avanti con estremo piacere e la massima passione.
  2. Sei riuscito a stringere amicizie sincere con i tuoi colleghi blogger? In realtà sì. Come alcuni di voi sanno ho conosciuto Marta, ex blogger nel mondo di WordPress, che tuttora frequento e con la quale mi sento spesso. Poi ho avuto modo di conoscere Valentina di Aliusetidem, in occasione del suo viaggio a Roma, ed anche Rossana di Pennelliribelli, in concomitanza di un mio viaggio, questa volta, a Firenze. Alcuni dei blogger sono invece diventati degli ottimi amici di penna, con i quali intrattengo regolarmente uno scambio non è più epistolare, ma di email.
  3. Ritieni che i tuoi post possano essere d’aiuto ai lettori? Lo spero! Certo, magari non quelli in cui deliro o me la prendo con i mezzi pubblici della capitale, ma i reportage di viaggio e le “recensioni” sui film… perché no?
  4. Hai mai scritto un post solo per aumentare le visite al tuo blog nonostante ritenessi l’argomento banale ma di facile presa sulla massa? No, mai. A parte il fatto che non è nella mia indole, ma a che scopo? Mica guadagno sui click!
  5. Hai mai messo mi piace a caso nei vari blog solo per farti pubblicità ed aumentare il numero di visite sul tuo sito?  Mai. Anzitutto non metto mai Mi Piace a caso, senza prima aver letto il post. Secondo poi, non è che la gente, vedendo l’iconcina del blog nella barra dei Like, va automaticamente a cliccare sul mio Gravatar. Neanche avessi chissà quale foto…
  6. Hai mai litigato virtualmente con un altro blogger perché non condividevi i suoi punti di vista anche se ciò ha comportato la perdita di un lettore del tuo blog? Beh, “litigare” è una parola grossa. Mi è capitato di avere delle discussioni, ma non ricordo che queste mi abbiano privato di lettori. Si è trattato semplicemente di confronti, scambi di opinioni e punti di vista!
  7. Ti sei mai ispirato ad altri blogger tanto da parafrasare un loro post? No. Se mi piace quello che un blogger ha scritto lo cito, limitandomi a riportare fedelmente le sue parole entro le virgolette.
  8. Cosa sei stato disposto a fare per aumentare le visite al tuo blog? Ehmmm vediamo… banner pubblicitari su altri siti, i migliori piazzamenti sui motori di ricerca, volantinaggio, perfino réclame sui cartelloni stradali… Ma scherziamo?!?!
  9. Hai mai usato la volgarità ed il sesso nei tuoi post per aumentare il numero dei lettori?  Angora?!?! (Non è un errore di battitura). Non ho mai usato niente che potesse far aumentare il numero di visite o lettori se ciò non lo sentivo mio. E se ho scritto di sesso e di volgarità (cosa che non mi risulta affatto) l’ho fatto perché mi andava e volevo parlarne. Stop. Nessun altro fine.
  10. Ti identifichi con ciò che scrivi? Direi di sì! Sennò per quale motivo aprire un blog? Per far sfogare le dita a premere lettere a caso sulla tastiera? Ora, anche se il mio blog non è un capolavoro e nonostante io non conosca una parola di francese, mi sento in diritto di dire: “ Mon blog c’est moi” (giusto perché voglio deliberatamente parafrasare qualcuno! ;))

Ed ora le nomination che mi risultano essere di 10 blogger con meno di 200 followers. Suvvia, non facciamo i pignoli ed i venali  ché tutto questo attaccamento a followers, lettori e visite mi fa venire il mal di stomaco…

Ecco i blogger che secondo me meritano di ricevere il Liebster Award:

Valentina di Alius et Idem

Il Gatto Syl di Il nuovo blog del gatto silvestro

Monique di Le Lune di Sibilla

Karina di Costa in Pianura

Isabella Scotti

Rossana di Pennelli Ribelli

The Emerald Forest

E mi fermo a 7 perché, oltre ad essere il mio numero preferito (cosa che non c’entra nulla ihihihi), molti dei blogger ai quali avrei voluto assegnare il premio lo hanno già ricevuto. Anche i miei nominati, suppongo, potrebbero essere in fase di lavorazione di un post sul Liebster Award senza che io ne sia a conoscenza. Si sa, le vie della blogsfera sono… infinite!

 Per le domande a cui rispondere, mi rifaccio a quelle di Marisa, sperando che questo non voglia dire parafrasare… 

Anche tutti gli altri sono i benvenuti a rispondere, se ne hanno voglia, nella sezione dei commenti. Fatevi avanti, non siate timidi! 😛

Diario di viaggio: Napoli

Primo giorno, martedì.

Il treno arriva a Napoli centrale in perfetto orario, dopo due ore di viaggio assolutamente confortevoli.
Per prima cosa vogliamo liberarci dai bagagli e pensiamo dunque di recarci subito in albergo.
Optiamo per una camminata lungo Corso Umberto (una bella passeggiata per chi non è particolarmente avvezzo a muoversi a piedi), evitando di prendere mezzi pubblici o taxi, viste le voci poco rassicuranti sul loro conto. Peccato che nessuna delle nostre conoscenze napoletane, consultate prima del viaggio, ci abbia parlato di una stupenda ed efficientissima metropolitana che scopriremo solo al ritorno grazie al personale dell’ albergo (io, poi, non ci avevo minimamente pensato, dato che nemmeno immaginavo la presenza di una linea di trasporti sotterranea a Napoli!). Arriviamo comunque in hotel non senza essere già stanchi ed affaticati. La strada, ripeto, non è pochissima ed in più, non conoscendo bene la città, l’abbiamo anche allungata parecchio.
Mettiamoci poi gli zaini ed i giubbotti che hanno appesantito i nostri passi e, complice anche il caldo, ci hanno fatto sudare così tanto da costringerci a fare una sosta all’ombra del Maschio Angioino (o Castel Nuovo, da non confondere con Castel dell’Ovo che visiteremo più tardi). Non ci crederete ma fatichiamo anche a trovare l’albergo, situato al terzo piano di un edificio che ha peró un portone anonimo, per non dire insignificante. Comunque la sua posizione è invidiabile: ci troviamo in una traversa di Via Toledo (chiamata comunemente dai napoletani via Roma, non tanto perché si tratta di una delle arterie principali della città, quanto per un discorso di “italianizzare” la toponomastica risalente all’epoca del fascismo) e un’uscita della Galleria Umberto che dá sul Teatro San Carlo e su Piazza del Plebiscito. È proprio lì, davanti al Vero Caffè del Professore (“vero” perché altri tre-quattro bar sfruttano la stessa insegna e la sua notorietá, ma sono solo imitazioni), che abbiamo appuntamento con due conoscenti napoletani. In realtá la mia conoscenza è una e si tratta del ragazzo di Valentina di Alius et Idem, il quale è stato gentilissimo e disponibilissimo nell’accompagnarci per un giro e nel fornirci qualche dritta e consiglio utile per la visita alla città. Con Andrea e il suo amico Michele facciamo due chiacchiere e due passi sul lungomare fino ad arrivare a Castel dell’Ovo che visitiamo entrandoci gratuitamente. La rocca, a picco sul mare, è molto suggestiva: dalle sue terrazze fotografiamo il golfo, la cittá affacciata sul mare ed il Vesuvio, sotto il cui sguardo vigile abbiamo intrapreso la nostra passeggiata. Continuiamo lungo via Partenope e, prima di arrivare a via Caracciolo, giriamo per via Calabritto, la strada delle grandi firme, fino a sbucare nel quartiere Chiaia, elegante con i suoi vialetti alberati e le sue isole pedonali: un’oasi di pace dal chiasso del capoluogo partenopeo. Ci separiamo dai ragazzi quando torniamo al punto di partenza, ovvero via Toledo, che percorriamo insieme ancora per un breve tratto. Dopo un pranzo a base di fritti (pizza, crostoni, frittate… Una bomba! Questi napoletani cucinano troppo pesantemente per il mio stomaco…), decidiamo di raggiungere il Vomero, il quartiere alto e altolocato di Napoli, sicuramente più residenziale di tutti gli altri. La funicolare ci porta fino a Piazza Fuga, dalla quale ci spostiamo per arrivare a Piazzale San Martino, belvedere che si trova antistante a Castel sant’Elmo, il terzo di Napoli. Ogni città ha il suo particolare aspetto, i suoi colori e le sue peculiaritá dall’alto: tetti, fiumi, piazze, cupole. Ecco, Napoli non ha niente di tutto ció. Il mare e Piazza del Plebiscito non sono visibili dal Vomero, il cui panorama è più che altro sul centro storico, attraversato da una strettissima viuzza che taglia in due i densi agglomerati urbani caratterizzanti, più di ogni altra cosa, l’articolazione cittadina. Case, case e solo case. Palazzi che si arrampicano gli uni sugli altri, finestre dietro finestre e spazi tra un edificio e l’altro che non sono che vicoli, angusti ed impraticabili. Spaccanapoli è quasi una  ferita nel tessuto architettonico che cresce in altezza e non in larghezza, tanto da rendere questa lacerazione ancora più profonda. E poi si vedono distintamente quelli che sono i Quartieri Spagnoli, i quali si sviluppano in salita (alcune di queste talmente ripide che sono loro stesse a  scoraggiare l’entrata, oltre ovviamente al fatto che la zona è quella con il più alto tasso di criminalità) e da un lato di via Toledo che funge da chiaro spartiacque. Di chiese, cupole o campanili nemmeno l’ombra, cosicché l’occhio si concentra sul panorama di case, ingarbugliate e fitte, tanto che lo sguardo fa fatica a districarsi nel labirinto di viuzze e costruzioni da cui non riesce a trovare una via di fuga. Scendiamo dalla collina del Vomero e facciamo
ancora due passi tra i negozi di via Toledo e poi sul lungomare, trattenendoci diverso tempo seduti al Borgo dei Marinai sotto Castel dell’Ovo, che, con il suo porticciolo e le luci soffuse dei lampioni, è un vero e proprio angolo di paradiso. Attendiamo così che arrivi il tempo della cena e, dopo un’ottima mangiata di pesce (ottima, sì, ma non poi così economica come doveva essere) torniamo sui nostri passi e ci concediamo un caffè (il secondo, dopo quello alla nocciola post pranzo, ma questa volta classico) nello storico bar Gambrinus di piazza Plebiscito. Eccellente ed impeccabile è certamente la bevanda, ma anche il modo in cui è servita: la tazza è bollente perché riposta, una volta lavata, su di un piano da cui salgono getti di vapore a 100 gradi. Ecco dunque che occorre prendere un piccolo accorgimento per evitare di bruciarsi la bocca: si sparge con il cucchiaino un goccio di caffè lungo il bordo della tazza ove si poggiano le labbra per bere ed il caffè, più freddo del suo recipiente, non fa più “scottare” la tazza e permette di godersi l’espresso come meglio conviene.

Secondo giorno, mercoledì

Lasciamo da parte il lungomare e ci addentriamo nella Napoli dell’entroterra. Percorriamo via Benedetto Croce (la cosiddetta Spaccanapoli, appunto) che tocca i principali punti turistici del centro storico. La prima tappa è Piazza del Gesù, sulla quale si affaccia l’omonima chiesa ed il monastero di Santa Chiara. Da visitare è indubbiamente il chiostro, un luogo magico e appartato, un giardino di pace e tranquillità, ove crescono alberi di arance e di limoni e dove i tralci corrono sinuosi intorno alle colonne decorate con maioliche colorate. Avremo potuto rimanere lì dentro per ore, immersi in un’atmosfera idilliaca che ci allontanava completamente dal baccano proveniente dall’esterno, dai rumori e dalle urla della Napoli cittadina. Avevano scelto bene, le clarisse, il loro luogo di preghiera e meditazione! Il tempo però stringe, quindi torniamo sulla nostra via e continuiamo a percorrerla fino a raggiungere la Cappella di San Severo, famosa per la statua del Cristo Velato dello scultore Sanmartino. Le morbide pieghe del velo, la trasparenza che lascia intravedere le membra coperte, il delicato ricamo sui bordi e l’impressione di impalpabilità, immaterialità, leggerezza rendono l’opera un vero e proprio capolavoro. La leggenda vuole che il velo fosse in realtà autentico e si sia “marmorizzato” sopra il corpo statuario che rivestiva. Fatto sta che l’intera cappella risulta essere un luogo mistico ed esoterico, specchio dell’anima di colui che la volle, il principe di Sansevero appunto, noto mecenate, artista, letterato, nonché alchimista. Dopo la visita alla cappella abbandoniamo via Benedetto Croce e giriamo a sinistra per via San Gregorio Armeno, particolarmente famosa, specie sotto Natale, per essere la strada dei presepi. In qualsiasi periodo dell’anno ci sono, comunque, espositori di statuette e di capanne, oltre ovviamente a rivenditori di souvenir ed oggetti ricordo di ogni sorta. La via, in leggera pendenza, termina a Piazza San Gaetano, dove avrà inizio la parte più interessante della visita a Napoli: Napoli sotterranea. Il percorso, della durata di circa due ore, è esclusivamente guidato e si snoda tra i vari cunicoli che collegano le cisterne di quello che era un acquedotto attivo dall’epoca greco-romana fino alla metà del 1800. Acquedotto a sua volta
ricavato dalle cave di tufo giallo, materiale di cui i greci, i primi ad arrivare nella Neapolis, si servirono per costruire la città in superficie. La storia di queste viscere non finisce qui: chiuse dal Regno d’Italia per evitare che un’epidemia scoppiata in città dilagasse nei suoi sotterranei, verranno riscoperte durante la II guerra mondiale, quando la popolazione civile le impiegó come rifugio antiaereo. La visita, suggestiva e misteriosa, è forse l’attrazione più meritevole di tutta la città, comprendendo inoltre l’esplorazione degli scantinati di alcune abitazioni (i caratteristici “bassi”, così chiamati perché costruiti al livello strada, come fossero negozi) che presentano resti di un antico anfiteatro, usato a mo’ di fondamenta per l’edilizia cittadina delle varie epoche. Estasiati dalle meraviglie e dai segreti del sottosuolo, riemergiamo in superficie (risalendo ben 121 gradini, oltre a tutti gli altri fatti e rifatti durante il percorso) e non vediamo l’ora di mettere qualcosa sotto i denti. La pizza è d’obbligo, così come l’ultimo caffè e l’ultima passeggiata sul lungomare partenopeo.
Giunta l’ora di andare in stazione e di salutare la città, ci incamminiamo verso l’albergo per riprendere i bagagli depositati durante la giornata, e ci fiondiamo di nuovo sottoterra, poiché, evidentemente, siamo rimasti colpiti dall’esperienza appena fatta. Questa volta si tratta però di sotterranei moderni, avveneristici, giudicati tra i più belli d’Europa. Niente da dire infatti: sia la fermata di via Toledo che quella di Piazza Garibaldi (in corrispondenza della stazione centrale) sono favolose. Non sembra di essere a Napoli, visto che i  colori e le architetture mi ricordano molto quelle della stazione di Zurigo!

Ora, al termine di due giorni, come al solito intensi (con me i viaggi non sono mai riposanti… e che viaggi sarebbero altrimenti? Vado a farmi una vacanza allora!), nel capoluogo campano, distesi sui sedili del treno con gli occhi che ci si chiudono dal sonno, stremati anche dall’attesa di 90 minuti per via di un insostenibile ritardo, ci viene da pensare, nell’istante in cui ci guardiamo l’un l’altro: “Siamo ancora vivi. Sfiniti, esausti, ma vivi. Forse è questo il senso del detto: vedi Napoli e poi… muori”.