Il caso 22 Ottobre 1988

Ieri sera – saranno state le dieci e un quarto – leggevo un paio di capitoli del libro prestatomi dal prof. di geografia, quando, sfogliando alcune pagine, mi sono imbattutta in un segnalibro molto singolare. Un biglietto orario dell’Atac, l’azienda dei trasporti pubblici di Roma, datato 22-10-88.
Potete immaginare la mia incredulità nel trovarmelo tra le mani. Incredulità che si è rapidamente tramutata in curiosità e che mi ha indotto ad interrompere per un attimo la lettura e dedicarmi all’analisi di quel biglietto.
Di dimensioni molto più piccole del biglietto attuale, reca, su di un lato, la pubblicità di una certa “Rete Oro – Sport, informazioni, spettacolo. La rubrica che ti dà il calcio in diretta”, mentre sull’altro compaiono le indicazioni tipiche di un titolo di viaggio per autobus: durata, costo, giorno di validità.
Ebbene, l’ultima indicazione è già stata svelata. Il/la proprietario/a di questo biglietto si trovava presumibilmente in giro con i mezzi pubblici in quel di ottobre del 1988. Si trattava, molto probabilmente (e qui tornano utili le letture del Sir Arthur Conan Doyle e del suo Scherlock Holmes), di una persona mattutina o comunque impegnata in qualche attività burocratica (escluderei che fosse a spasso per puro diletto), poichè il biglietto reca la dicitura “dalle 5,00 alle 14,00”, con tanto di disegno di un orologio per intendersi meglio ed evitare manomissioni (niente da fare, mi sono ormai calata nei panni del detective). Altro che i 75 minuti attuali, spesi più nell’attesa dell’autobus che non nell’effettivo tragitto a bordo dello stesso.
Comunque, tornando alla mia indagine…il costo, ecco, ancora il costo manca. Indicazione facilmente deducibile a questo punto, considerando la data di timbratura del biglietto e l’arco di validità. Mille lire o L. 1000, come scritto in caratteri rossi su uno sfondo più chiaro, ma dello stesso colore.

Cosa concludere da questa accurata analisi?
Nulla di particolarmente rilevante (ai fini del caso, aggiungerei, da provetta investigatrice), se non che la lettura di un libro…può riservare sempre inaspettate sorprese.

 

L’Acheronte nelle vene

Quelle parole bruciavano come ceppi di legna al fuoco
e sogghignavano, maligne, ogni volta che si mostravano ai suoi occhi.
Sembravano quasi prendere vita: si trasformavano in immonde creature e parevano uscire dalla schermo, per avvinghiarla, strangolarla.
La ragazza tentava di liberarsi, di fuggire. Voleva cacciarle via, via dalla propria mente, via dalla sua testa, via, via, andate via…
Ma queste si ripresentavano proprio nell’esatto momento in cui lei cercava di evitarle.
Perfide s’insinuavano sotto la sua pelle, s’infiltravano tra i suoi pensieri e non le lasciavano scampo.
La ragazza aveva capito.
Era stata cieca. Non aveva saputo, o voluto, (pre)vedere le conseguenze alle quali quelle parole avrebbero condotto.
Era stata sorda. Non aveva voluto, o saputo, prestare attenzione al risolino acuto di cui si sarebbero animate quelle sillabe.
E così, dunque, se lo meritava. Accettava senza riserve di rimanere intrappolata in quel vortice ardente di spire e ghigni, senza trovare una via d’uscita.
Poteva solo appellarsi alla clemenza delle parole, ma non aveva fatto i conti con il loro dispotismo.
Perchè le parole non sono mai clementi.
Le parole spiazzano, sconvolgono, intimidiscono.
Condannano.
Nero su bianco, bianco su nero, pulsano come il febbrile cuore nelle tempie, sanguinano come una ferita fresca appena riaperta.
E fanno male.

No, non è l’Inferno di Dante.
E nemmeno Suspiria di Dario Argento.
Semplicemente dei piccoli turbamenti di una ragazza che vive al servizio delle parole.
Giudicate voi se non sia peggio.

Delacroix, La Barca Di Dante