La prima panoramica della terraferma arriva dopo la metà abbondante del film. Prima e dopo, solo mare. Tutto il resto, mare.
Mare che non solo significa letteralmente “massa d’acqua salata che ricopre gran parte della superficie terrestre”, ma assume diverse connotazioni. Tre sono quelle principalmente trattate dal film.
Mare come fonte di sopravvivenza per una famiglia di pescatori, caduti in disgrazia dopo la morte di un componente del nucleo familiare. Mare come fonte di reddito, grazie all’arrivo di masse di turisti che durante i mesi estivi affollano l’isola (presumibilmente Lampedusa). Mare come fonte di salvezza e di speranza per tutti quei barconi di immigrati clandestini che agognano la terraferma.
L’immigrazione è certamente la tematica centrale del film, intrecciata, comunque, a diverse altre. Tematica che viene presentata con lucidità e realismo, senza scadere mai nella banalità e ricorrere a cose già viste o sentite. La rappresentazione del quotidiano è quanto mai veritiera, talvolta cruda ma quanto mai efficace. E’ la gente comune la protagonista. Talmente comune da rendere facilmente possibile identificarsi in loro o ricordare esprienze realmente accadute e a noi più o meno vicine.
Dell’assenza di banalità parlavo. A questo proposito, mi è rimasta impressa una domanda, posta nel corso di una discussione tra i paesani, i quali ingenuamente s’interrogavano se fosse più giusto seguire i propri costumi e le proprie tradizioni, disattendo così alle leggi dello Stato, o comportarsi da bravi cittadini seguaci della legge, ma da barbari esseri umani.
La legge recita infatti: “Non raccogliete la gente moribonda in mare, ma andantevene, tenevetene alla larga, fate finta di niente, scacciate coloro che si avvicinano speranzosi alla vostra imbarcazione. Solo più tardi, una volta a riparo nelle vostre case, avvertite la guardia costiera che si occuperà di ricondurre i poveri naufraghi al luogo dal quale provengono.”
La morale, a mio avviso, suggerisce tutt’altro. E lo stesso fanno le “leggi” dell’isola, secondo le quali una persona in cerca di aiuto debba essere semplicemente soccorsa.
Il diritto insegna che ogni provvedimento legislativo ha una maggiore importanza rispetto ad usi e consuetidini locali: ma tale lezione risulta valida anche quando le imposizioni legislative sono così disumane?
In ogni caso, la domanda in questione è:
“Così io devo lasciar morire delle persone per evitare la brutta pubblicità?”
La brutta pubblicità sarebbe, secondo Beppe Fiorello (interprete assai talentuoso, ma tra i meno valenti nel film), una condanna per l’isola e per i suoi abitanti, i quali non possono più vivere di sola pesca ma hanno bisogno di trovare, o inventarsi, un nuovo lavoro. Ed il turismo è proprio il campo in cui investire. Lo sa bene, lui, che gestisce uno stabilimento balneare e soddisfa le più classiche richieste dei turisti, portandoli a fare il giro dell’isola in barca, organizzando loro il gioco aperitivo, coinvolgendoli con i balli di gruppo. Sì, perchè questo è ciò che i turisti cercano, ciò che essi vogliono dalla loro vacanza.
Ecco dunque delinearsi un altro motivo caratterizzante il film. Il turismo di massa, completamente disinteressanto alla scoperta del luogo di villeggiatura, alle sue tradizioni, alla sua atmosfera ed il suo sapore. Un turismo proficuo, sì, redditizio, certo, ma inevitabilmente deleterio per la gente del posto, che si vede deturpare il proprio ambiente dalla superficialità dei suoi sfruttatori.
Ci vedo molto de “I Malavoglia” in questo film. Come la famiglia di padron ‘Ntoni, anche la protagonista della pellicola possiede una barca con la quale esce tutti i giorni a pescare. Alla stregua della famiglia di Verga, anche questa deve sopportare un lutto e precipita, di conseguenza, in disastrose condizioni economiche. Cerca così di intraprendere una nuova attività, quella di affittacamere durante i mesi estivi (non avendone, tuttavia, la vera possibilità, poichè significherà per loro ridursi a vivere nel garage limitrofo). Il vecchio pescatore è padron ‘Ntoni, restio a vendere la sua barca e palesemente infastidito dalla modernità e dal progresso (parola magica per Verga). Il figlio/gestore dello stabilimento è il giovane ‘Ntoni, proiettato verso il futuro, imprenditore senza scrupoli ed utilitarista. E poi c’è la Sicilia, teatro di entrambe la storie, quella letteraria e quella cinematografica.
Infine, permettetemi un’ultima nota sull’interpretazione. Finalmente attori, come commentava l’amica May durante l’intervallo, che non fingono di recitare. Genuini, sinceri, davanti alla macchina da presa si comportano come probabilmente farebbero nella realtà. Volti segnati e consumati, ma per fortuna! Al diavolo quei visi finti ed artificialmente truccati.
Concluso il film, il primo pensiero che mi è balenato in testa è stato: lo rivedrei daccapo.