Caratteri indecifrabili

Ho capito che al mondo non esistono solo persone piacevoli o spiacevoli, persone buone o cattive. E’ presente una grande quantità di persone indecifrabili, che non si lasciano capire o non si vogliono lasciar capire. Persone che non sai mai come prendere, con le quali non sai mai come comportarti, cosa dire o cosa tacere. Alle volte puoi riderci e scherzarci, lo vedi che anche loro stanno al gioco, che si divertono. Altre devi invece soppesare ogni parola da dire, temendo la loro reazione di fronte ad una frase fuori posto o leggermente inadeguata, con la paura che possano innervorsirsi e guardarti storto per tutta la giornata.
Fortunatamente, queste persone riesci a capirle fin da subito. Il loro sguardo ed il loro atteggiamento tradiscono immediatamente la disposizione d’umore che hanno quel giorno.

Ma direi che sia il caso di smetterla di parlare in termini generali, con un plurale majestatis – come dice molto spesso mia madre – dato che la persona alla quale mi riferisco è una ed una sola.

E’quella persona che ogni volta entra in classe in un modo diverso. Nelle giornate , rivolge subito lo sguardo a tutti noi, ci sorride, ci chiede come stiamo, azzarda commenti che dovrebbero essere per lei battute esilaranti circa il tempo atmosferico, la notizia dell’ultima ora, i professori della scuola, il nostro abbigliamento oppure qualsiasi altra cosa che gli viene in mente. Si siede alla cattedra, sempre sorridendo, è allegra, si vede che non ha molta voglia di fare lezione. Certo, alla fine la lezione la tiene, ma è una lezione piacevole, stravagante, che si riempe di riferimenti talvolta azzardati, come quando racconta dei suoi jeans strappati e le sue giacche anni ’70, i quali dovrebbero avere un qualche collegamento con il Positivismo ed il Naturalismo francese.
Però va bene, ci sta quest’ironia che spezza la monotonia della lezione e ribalta il classico metodo della lettura in classe del testo di letteratura, che noiosamente recita: “Il Naturalismo è una corrente letteraria che si diffonde in Francia nella seconda metà dell’Ottocento…”.
Le giornate non durano a lungo. La volta successiva sembra come se non avessimo mai conosciuto la persona il cui guardaroba è stato l’argomento principale di una lezione.
Entra in classe con il muso, gli occhi a terra, a passo svelto. Si siede con una certa fretta, tira fuori penna, matita – alla quale ho scoperto tiene particolarmente – e registro, vuole il silenzio e chiede la nostra immediata attenzione.
La lezione si svolge nei classici “canoni” imposti dalla scuola, verso i quali il giorno prima sembrava essere così insofferente, rovesciandoli, criticandoli spesso, affermando che il professore non è solo un dispensatore di nozioni puramente “scolastiche”, bensì una guida per il nostro futuro, una sorta di maestro di vita. Per questo spesso la lezione viene interrotta dal racconto delle sue esperienze personali che vuole condividere con noi nella speranza che fruttino da insegnamento. Ed è bello, è un confronto interessante e profondo.
Ma nelle giornate no non c’è spazio per la condivisione di esperienze, bisogna andare avanti con il programma, bisogna che si faccia il “professore”, ruolo che consiste nello spiegare, assegnare i compiti, interrogare, mettere voti, promuovere o bocciare.
Ebbene, è proprio in un “professore” che tale persona si trasforma nelle sue giornate no, sebbene altre volte si mostri restia a rivestire questo ruolo così distante dai ragazzi.
Nelle giornate , il professore di lettere quale è, non si manifesta nel grigiore della sua professione, ma rimane nascosto dietro la veste di un semplice uomo, che ha nostalgia della moda anni ’70, che si sporca le mani con la catena della sua bicicletta, che fuma la pipa in classe chiedendoci prima un permesso che nella nostra incredulità siamo costretti ad accordare.

C’è quindi il fumatore di pipa, il figlio dei fiori con i pantaloni a zampa di elefante, il ciclista che ogni giorno scavalca i setti colli di Roma, dei quali sempre si lamenta rimpiagendo la sua cara Pianura Padana di Milano.
E c’è poi il professore in giacca e cravatta, con la valigetta nera, le sue penne e le sue matite, che odia imbrattarsi le mani di gesso e si innervorsisce per un’inezia, una parola sbagliata in un contesto sbagliato, una gomma che cade a terra e viene raccolta, un movimento di sedia che rompe la “musica” della lezione, come ama dire lui.

Ho capito che al mondo preferisco decisamente i fumatori di pipa.

 

Caos

Luci psichedeliche tracciano contorti disegni sul pavimento.
Linee difformi, cerchi concentrici e scomposti, circuiti elettrici andati in tilt.
Occhi di laser che sbattono le palpebre in millesimi di secondo, getti fulminei, disordinati.
Nebbia di vapori inebrianti, condense di fumi sospesi.
Gesti scattosi, movimenti interrotti. O almeno così sembrano nella luce delirante che li mostra ai miei occhi.
Musica che tale non è, ma una serie di boati indistinti, tuonanti, rimbombanti.
Sballo. L’ordine è in soqquadro.
Confusione. La logica è senza senso.
Irrazionalità. La lucidità s’infrange dietro il vetro opaco del caos.
Caos.