Contro natura.

 2 mesi ormai…

Voglia di piangere.
Ho solo tanta voglia di piangere.
Fa bene farlo, se se ne avverte il bisogno.
Le lacrime vanno assecondate, non represse.
Devono essere lasciate scorrere, non soffocate dietro l’aspetto forzato di un sorriso malriuscito.
Perchè c’è un tempo per la gioia ed uno per il dolore.
Ci sono i momenti per ridere, e quelli per lasciarsi andare nelle braccia della disperazione.
La bravura sta nel vivere ogni fase così com’è, nella pienezza dei sentimenti che essa porta con sè. Essere felici quando è il caso di esserlo, sperimentare il dolore quando nulla, in effetti, ci porta ad essere sereni.
La sofferenza non va allontanata, ignorata, distaccata.
Non bisogna scacciarla o rifuggerla.
Occorre affrontarla guardandola in faccia, anche se gli occhi bruciano e sono gonfi di lacrime, anche se il cuore è trafitto dalle lame del dolore.
Sono stati mesi molto cupi, questi ultimi.
Mesi fatti da singoli giorni, giorni ricchi di emozioni contrastanti, giorni pieni di pensieri inquieti ed inquietanti, senza senso alcuno.
In balia di una tragedia, in assenza di fede e giustificazioni (no, non esistono in certi frangenti) si arriva ad essere sadici ed insensibili, e si trova conforto nell’eventualità del male, purchè minore di quello che si sta vivendo.
Pensieri del tipo “Ad una certa età si può capire…” o “Se fosse successo all’improvviso…” si ascoltano dentro di noi, fuori di noi, mentre la gente parla e si abbraccia, facendosi forza a vicenda. Eppure la realtà ormai non è più la stessa, ha assunto tutto un altro colore, il giorno è come la notte, la notte è interminabile e mostruosa.
Pensieri di quel genere non fanno che amplificare il dramma già in essere, riflessioni su quale sia la  morte migliore sono completamente futili. Fesserie, idiozie. Fa male comunque. Ed è sempre inaccettabile, inconcepibile. La morte migliore… ma che vuol dire?
Ecco, se la morte è parte della vita, componente imprescindibile della nostra esistenza umana, elemento intrinseco che dà senso alla vita stessa, come a lungo ci hanno insegnato, questa no. Non lo è. Non è la normalità, non è la natura. E’ contro natura.
Sento ancora la tua voce strozzata dal pianto mentre mi tieni la mano e chini la testa sulla mia spalla. Le dita che tremano e la pelle, ormai non più così giovane, che si fa piano piano viola: che fine ha fatto la tua fede? La profonda speranza che porti con te, la fiducia nella vita eterna, nell’esistenza celeste dell’anima e nella presenza di un Paradiso, per noi umani peccatori e colpevoli di essere (forse) troppo fortunati?
La verità è che non serve a niente nemmeno la fede. In questi momenti si desidera solo di morire anche noi, di mettere fine ad una vita che prima o poi un termine lo avrà. Il guaio è che potrebbe capitare oggi, domani, tra 30 anni, tra 2 ore… non lo sappiamo.
E viviamo nell’ombra della morte, una croce invisibile che pesa su di noi e si manifesta quando vuole lei, o quando vuole Dio, se è giusto che debba essere fatta la sua dannata volontà.
Amen.

Sui bilanci, le analisi e le considerazioni. Buon 2018.

Credo che l’uomo sia pericolosamente incuriosito da ciò che è proibito, ciò che non c’è, ciò che non ha e non può avere.
Una volta aver assaggiato il sapore della trasgressione, ne è ancora più irrimediabilmente attratto, trascinato dal desiderio di gustarla di nuovo, di sfidare i propri limiti, osare, spingersi oltre il confine dell’integrità. Travalicare i vincoli e le convenzioni sociali.
C’è chi dice che traditori si nasce, c’è chi sostiene che siamo tutti fatti per tradire e che l’essere umano non nasce per essere monogamo.
La verità è che subiamo indistintamente il fascino di ciò che non possediamo, puntiamo alla luna per finire nelle stelle, come direbbero gli americani. Ognuno di noi ambisce a conquistare emozioni che non ha mai provato, vivere esperienze che non ha mai sperimentato. E più queste esperienze assumono il carattere del proibito e dell’intrigo, più diventano tremendamente appetibili ed attraenti.
Accontentarsi di ciò che abbiamo è solo un comodo rifugio per evitare l’errore. Non domandarsi se esiste dell’altro oltre a ciò che quotidianamente viviamo, non assecondare la curiosità di esplorare, vuol dire reprimere istinti naturali che presto o tardi si manifesteranno con insistenza.
Sbagliare è necessario, sbagliare è umano: cedere alle debolezze della carne è cosa vecchia quanto il mondo, e se è vero che è il corpo è il mero involucro terreno di un’anima eterna, dovremo avere tutti la possibilità di cadere nelle tentazioni che esso ci propone e non venire condannati per l’incapacità ad averle soffocate. In fondo, siamo di passaggio su questa Terra, la nostra esistenza è limitata, qual è lo scopo di credere nella presenza del peccato e della redenzione? La salvezza dello spirito dipende dalla bontà delle nostre azioni in vita? Ma più si vive con amore e rettitudine, infinitamente maggiore è lo strazio della morte, della fine di tutto quel bene profuso e ora improvvisamente assente.
Che poi il bene è inevitabilmente legato al male, ci avete mai pensato? Fare del bene a sé stessi e a qualcun altro comporta il causare dolore al prossimo vicino a noi o in qualche parte del mondo. E chi decide cosa è il bene o cosa è il male, cosa è giusto e cosa è errato? Il buon senso è una emerita fesseria, è tutto, infatti, incredibilmente relativo. Effimero, volatile, caduco. Tanto vale godersela, la vita, nel bene e nel male.
In un giorno in cui ci fermiamo qualche minuto ad elaborare un bilancio sul 2017 appena trascorso, io affogo nei ricordi, nelle emozioni e nei volti che hanno caratterizzato la mia vita recente e sono stati protagonisti delle scene della mia memoria. Volti che non ci sono più, perché deliberatamente proibiti al mio sguardo, o perché portati via dal disgraziato e crudele volere del destino.
In un giorno in cui ci arrestiamo qualche minuto ad elaborare un bilancio sul 2017 appena trascorso, è così che amo naufragare e perdermi in me stessa.
Felice anno nuovo.
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