J. Edgar [Clint Eastwood]

Primo film visto in sala del 2012. Direi che l’anno può considerarsi iniziato piuttosto bene.
Se proiettassero solo film di questo genere (a voler essere precisi, “genere” nell’accezione di “tipo”, “spessore”), l’anno proseguirebbe a gonfie vele, cinematograficamente parlando.
In quanto al genere in senso stretto, infatti, risulterebbe pesante per tutti, almeno credo, la costante visione di film incentrati su dialoghi, discussioni, processi ed assolutamente carenti di sequenze d’azione o colpi di scena significativi.
Tuttavia, sebbene questo sia il timbro peculiare del film, J. Edgar presenta uno strato di interpretazione più profondo.
Dietro allo scenario burocratico e politico che, ad uno strato superficiale, sembra caratterizzare il film, si cela la volontà di indagare la complessa situazione familiare e psicologica del protagonista, John Edgar Hoover per l’appunto. Il cognome del fondatore/capo dell’FBI non sembra interessare Eastwood, che lo omette persino dal titolo della pellicola, come ad evidenziare la natura di uomo “comune” che si nasconde alle spalle di quel nome e non fossilizzarsi sulla posizione prestigiosa dell’uomo, identificabile appunto dal cognome.
Uomo integerrimo, rigido e determinato, ma anche figlio insicuro e fragile che vede nella madre e nel suo braccio destro, Clyde Tolson, i suoi unici punti di riferimento. Privo di una vita sociale e di relazioni con l’altro sesso (se si esclude il rapporto puramente professionale con la sua segretaria Ellen Gandy), J. Edgar è unicamente dedito al suo lavoro, nel quale crede fortemente e per il quale opera con gran zelo. Peccato che questo lo porterà a crearsi non pochi nemici ed ad attirare su di sè diverse ostilità. Nella vita privata, poi, il rapporto intenso e quasi morboso con la madre, la sua presunta omosessualità, l’ossessione per la decadenza fisica, rendono il protagonista un individuo complesso, “multistrato”, come vorrei permettermi di definirlo.
Inutile dire che Leonardo Di Caprio (il quale, personalmente, dopo due capolavori, quali Inception e Shutter Island, ho rivalutato) interpreti il personaggio voluto da Eastwood così realisticamente da renderlo “vivo”, e non una piatta figura che si muove in maniera fittizia sullo schermo.
Ho assai apprezzato, inoltre, l’alternzanza tra passato e presente, due dimensioni temporali che si sovrappongono e dipendono l’una dall’altra. A questo proposito, merita un breve elogio il lavoro di trucco, che spero sarà benevolmente notato ed otterrà una nomination per i prossimi Academy Awards.

Insomma, film indubbiamente impegnativo, che va seguito e va capito, con la testa, ma anche con il cuore. Con il cuore, ma anche con la testa. Complementariamente.
Clint Eastwood, del quale, da tempo, tento di non perdermi nemmeno un lavoro, ha colpito di nuovo. E ha fatto centro.