Il senso.

Finchè non si vive non si può capire.
Finchè non si vieni colpiti da una simile tragedia, la solidarietà è superficialità. Non si comprenderà davvero mai, fino in fondo, cosa si provi.
Certe ferite rimarrano aperte per sempre.
E se si supera tutto, se il dolore con il tempo si affievolisce, se la perdita verrà colmata dal corso della vita che va avanti, la cicatrice, in profondità, resterà visibile e la mancanza di qualcosa si percepirà sempre.
Anche quando sembra che ormai siamo assorbiti da altro, siamo distratti, presi dalle cose di tutti i giorni, ognuno di noi è stato colpito e marchiato: niente sarà più come prima. E’ irreversibile.
Manchi e mancherai negli anni a venire, per tutto il resto del tempo che dovremo passare su questa Terra, secondo la volontà di qualcuno che evidentemente deve capirci molto più di noi nel prendere certe decisioni.
Per scegliere chi deve restare e chi se ne deve andare. Per assegnare la malattia e il benessere randomicamente agli esseri umani, più o meno meritevoli di condurre un’esistenza duratura.

Cosa succederebbe se tutti noi conoscessimo la data della nostra dipartita?
Ho già espresso questo pensiero a chi – sfortunato per lui – mi sta accanto. Cosa accadrebbe se già sapessimo che la vita ha una durata prestabilita, diciamo per esempio 87 anni?
Mi sembra un’età ragionevole per lasciare questo pianeta, per distaccarci dai nostri cari, per sostenere, dopo tutto ,”Ho fatto le mie esperienze, mi ritengo soddisfatto”.
I vantaggi sarebbero, a mio avviso, molto numerosi.

Tanto per cominciare la morte non ci coglierebbe più di sorpresa, sapremmo che si sta avvicinando e avremmo tutto il tempo per prepararci al suo arrivo.
Secondariamente, tutto il mondo la accetterebbe più serenamente, come si accetta la fine di un ciclo di studi, come si accetta il termine di un film, anche se vorremo che proseguisse all’infinito.
Non ci sarebbe ingiustizie, non esisterebbero tragedie, drammi familiari, perdite premature, morti improvvise del tipo “E’ andato a dormire e non si è più svegliato” o ” Si è accasciata per terra ed è morta”. Stiamo giocando, vero? Una vita intera, anni di crescita, sviluppo, di rapporti e sentimenti con e verso le persone, interminabili istanti di aria respirata, non possono certo terminare in un battito di ciglia.

Così come conosciamo più o meno precisamente le circostanze della nostra nascita, dovremo poter essere al corrente del momento in cui la nostra esistenza subirà un arresto:  non voglio esagerare affermando che dovremo essere messi a conoscenza delle modalità con cui la morte ci coglierà, ma sapere che tutti noi vivremo per 87 anni (nessun anno in più, nessun anno in meno) sarebbe estremamente vantaggioso, porterebbe incolmabili benefici a chi resta in vita e a chi se ne va.
La consapevolezza della transitorietà dell’esistenza sarebbe ancora più radicata, sentita, percepita, e non accennata nei pensieri puerili della serie “vivi ogni attimo come se fosse l’ultimo“.

Il cinismo questi giorni mi travolge, non riesco a percepire impeti di bontà in nessuna manifestazione della realtà che mi circonda.
Tutti noi sappiamo di morire, ma non siamo coscienti di quando questo avverrà. Credetemi, aiuterebbe e faciliterebbe enormemente la vita, la nostra e quella dei nostri cari, conoscere con esattezza la data del nostro decesso, ne sono fermamente convinta.
L’imprevidibilità della vita è una grossa scemenza. Il brivido dell’incertezza in questo caso non paga. Vivere appesi al filo di un rasoio, per dirla con una dose di velleità poetica, è semplicemente deleterio e tremendamente crudele. Possibile che nessuno abbia mai pensato di incidere una lapide sulla nostra carta di identità?

La morte non farebbe più nemmeno notizia.
Tutti ti avremo ancora goduta, come si gode della propria famiglia senza costantemente pensare che tuo fratello, seduto a tavola di fronte a te, potrebbe non esserci più tra qualche giorno o che tua nonna, con la testa a dondolo e la bocca aperta mentre dorme sul divano, presto se ne adrà: non è ancora il suo tempo, se non ha raggiunto gli 87 anni.

Dio ha sbagliato tutto, davvero. Dio è incredibilmente maligno con gli esseri umani, condannandoli ad una esistenza che tutti sappiamo essere limitata, seppur non consci di quale sia questo limite. Chissà che mistero è questo, immagino quanto potere si nasconda dietro tale certezza, per essere così grande da non essere rivelata, divulgata, concessa.

Il senso della vita è tutto qui. Il senso della vita è la scomparsa delle malattie, delle coincidenze sfortunate, degli incidenti, degli errori di percorso, degli imprevisti, degli eventi non preventivati.
Ebbene, poichè questa condizione è utopica ed infattibile, v’è da dedurre che il senso della vita non c’è. Il senso della vita non esiste, capite.
Non si trova un significato a tutto il nostro incedere se la morte incombe invisibilmente sulle esistenze di ciascuno e noi non possiamo far altro che accettare una tale punizione.
Non v’è giustizia nella sopravvivenza di un genitore al proprio figlio.
Non v’è ragione, non v’è motivo.
Io voglio morire prima di mio fratello, prima dei miei nipoti, io voglio morire quando sarà giunta la mia ora. Ma non voglio morire a 50 anni perchè un dannato tumore si è impossessato del mio corpo e ha risucchiato progressivamente le mie energie vitali, divorando i miei organi senza pietà e deformando mostrosuamente le mie sembianze umane.

Capite, è molto semplice. Il senso della vita non esiste.

E me lo domando. 

C’è vita. C’è tanta vita che pullula ogni giorno.
E c’è il dolore. La disperazione.
C’è la sofferenza nell’animo di alcuni.
La sofferenza di una perdita, la sofferenza di restare soli.
E mi domando
Il perché di questo destino crudele.
Che sia frutto del caso
O prima o poi doveva succedere
Che senso ha tutto questo incedere?
Un colpo, poi due.
Una fucilata, una dietro l’altra.
Mi atterrano, occhi sbarrati: sono K.o.
Sembrano fulmini, lampi che squarciano il cielo
In una giornata di sole pieno.
È come una doccia fredda
Anche quando non senti caldo
Che ti cade violentemente addosso
Anche quando non ne hai bisogno
Mi domando sempre più spesso
Che senso ha continuare così
Alle spalle di chi
Continuare non può, non vuole, non sente ragioni.
L’ho sempre detto io,
Che il dolore più grande è di chi rimane
Non di chi se ne va
E ricordare fa ancora più male
Meglio sforzarsi di dimenticare
Oscurare quei momenti
Che sono adesso solo profondi turbamenti
Tirare avanti è l’unica soluzione
Bisogna farsene una ragione
Ma più ci penso
Più non riesco
A trovare una giusta spiegazione
Al dolore del mondo
All’angoscia di ogni secondo
Quando qualcuno a te caro
Esala l’ultimo respiro.
Io mi domando
Quanto a lungo ancora
Dovremo convivere con questo male
Con l’afflizione ed il dolore.
Per sempre, mi dico.
Per sempre, di certo
E allora che senso ha tutto il resto?