A cena da Niko Romito – Casadonna Reale

Ci risiamo. L’ho fatto di nuovo. E a distanza di pochi mesi poi! Ma non allarmatevi, non si tratta di peccati di carne, oggetto delle mie riflessioni recenti, e nemmeno di peccati di gola, che chi mi conosce bene riconosce come mie forti debolezze, ma del peccato di provare un ristorante stellato, con un salto di qualità stavolta.
Nel cuore di un monastero abruzzese del ‘500, il Casadonna Reale non vanta solo il più alto riconoscimento dalla guida Michelin, ma è anche tra i primissimi ristoranti d’Italia secondo il Gambero Rosso e la guida Espresso, collocandosi nell’Olimpo dell’alta ristorazione italiana. Per dirla con parole semplici, il top del top, il non plus ultra.
Ma queste sono notizie facilmente reperibili nel vasto mondo del web, così come potrete approfondire sull’ambizioso chef alla guida di questo gioiello, Niko Romito, una persona all’apparenza molto affabile ed umile, attivo in numerosi progetti affini alla ristorazione (a Casadonna ha sede la scuola di formazione per giovani aspiranti chef, oltre che una struttura ricettiva con un numero limitato camere, mentre a Rivisondoli, Milano e Roma si trova Spazio: qui per approfondire).
Non starò a ripetere le emozioni che si provano durante una cena stellata, l’esperienza sensoriale che essa comporta, la sollecitazione simultanea delle sensazioni gustative, olfattive, visive, tattili, in gioco tutte insieme davanti ad un percorso di degustazione o qualsiasi piatto presentato sulla tavola.
Il nostro benvenuto è stato per esempio gustato interamente con le mani, dal soffice di pistacchio salato, passando per la patata sotto cenere (quale strepitosa creazione!) e l’infuso di cipolla, sedano con olio d’oliva, fino ad arrivare alle crostatine con crema di olive nere.
C’è poi il capitolo pane, che al Casadonna Reale occupa un posto a sé stante all’interno del menù degustazione: il pane è realizzato con farine locali, tra cui Saragolla e Solina, e aggiunta di patata per ottenere una crosta fragrante al massimo ed una mollica così umida da rimanere attaccata alle dita.
Ho ancora in mente la scena della mescita di un elemento ordinario come può essere l’acqua: dentro una caraffa trasparente con forme sinuose ed eleganti, l’acqua esce da una apertura con una grandezza tale da assimilarla ad una cascata e viene versata con ritmo lento e mano delicata per farla scivolare come una stupenda fontana dentro il bicchiere appoggiato sulla tavola.
Ecco che il pane, l’acqua, ingredienti quotidiani sono valorizzati nella loro genuinità, unicità e purezza, secondo un parametro che contraddistingue la cucina di Romito in tutte le sue espressioni: la semplicità.


Dagli impiattamenti agli ingredienti presentati, dalla location all’allestimento dei tavoli, la cifra della semplicità è totalizzante e caratterizzante. Non si trovano fasti eccessivi, elementi lussuosi e sfarzosi nei quali ci si imbatte nella terrazza de La Pergola o dello stesso Imago, e si riscontra piuttosto un magistrale utilizzo di materiali come il legno e il ferro battuto. Il gusto di Niko Romito nei piatti e nella cura della sala è estremamente minimal ed essenziale, in quanto “semplice”, in fondo, vuol forse dire essere “reale”.
Il calore dell’ambiente si percepisce subito dall’accoglienza della hostess fuori dalla dimora e dalle stanze iniziali, dove lo scoppiettare della fiamma nel camino coccola e riscalda l’ingresso a Casadonna. La formalità, la professionalità e l’eleganza del servizio sono stemperate dalla passione che i ragazzi di sala comunicano negli occhi e nelle spiegazioni profondamente sentite delle varie portate. Meno impostazione, distacco e reverenza nei confronti dell’ospite: questi è delicatamente accompagnato in un casale immerso nel silenzio e trascinato, una volta varcata la soglia di ingresso, dentro una esperienza magica, appartata in un ambiente estremamente riservato e silenzioso, come fosse la sala privata di una dimora esclusiva cui un numero limitato di persone può avere accesso.
Che altro dire sulla cucina e quali personalissime impressioni trasmettervi? Mentre il menù degustazione dello chef Apreda include contaminazioni esotiche e sapori spesso provenienti da India, Giappone e Paesi orientali, il percorso di Romito è molto più legato al territorio e alla regione abruzzese di cui lo chef è originario: accanto alle proposte di pesce, pur presenti, si trovano le verdure locali, i funghi, il tartufo, le farine del posto, i cappelletti, la mandorla, la genziana impiegata e presentata in ardite configurazioni. Ogni piatto mostra complessità negli accostamenti di sentori, nel gioco delle temperature e delle consistenze, perseguendo e raggiungendo equilibri meravigliosi di durezza e morbidezza, scioglievolezza e croccantezza, densità e liquidità, compattezza e polverizzazione.
Insomma, alla pari della contemplazione delle diverse forme d’arte, siano esse architettoniche, pittoriche, monumentali o scultoree, cenare in un ristorante stellato equivale a rendere onore ad un capolavoro, l’opera peculiare e distintiva del suo artefice, una creatura nata dalla maestria e dalla tecnica del suo artista.
Come Guernica può essere attribuito unicamente a Picasso e non è stato mai riprodotto dal suo collega Miró, così un piatto è ideato, studiato, testato, elaborato e realizzato dalle mani di un unico chef.
Per quel che mi riguarda, assaggiare ciascuna creazione è meravigliarmi, stupirmi ed estasiarmi. E’ lasciarmi ispirare, farmi vibrare e sentire viva, dentro e fuori, nei sensi e nell’anima. La cucina espressa a questi livelli non è infatti un mero nutrimento per il corpo: alimenta ed esalta prima di tutto lo spirito.

Starway to Heaven – Imago, Hotel Hassler

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L’esperienza in un ristorante stellato è assai difficile da descrivere a parole.
Le foto aiutano in questo caso – pensate che fino a qualche anno fa nei ristoranti di un certo livello era vietato fotografare i piatti – e Instagram, il social network eletto strumento d’eccellenza per l’enogastronomia, lo dimostra ampiamente.
Vi lascio pertanto una galleria di immagini che comunque non riusciranno mai a sostituire l’emozione di ammirare ed assaggiare quei piatti, ma anche di sedere di fronte ad una vista invidiabile, come se si fosse ospiti di un cinema esclusivo con un panorama mozzafiato incorniciato in un maxi schermo ad alta definizione e in 3 dimensioni.
A dir la verità, il tavolo a noi riservato, e la poltrona a me concessa dal personale di sala, faceva un tête-à-tête con San Pietro, così vicino ed imponente di fronte a me da avere l’impressione di poterlo quasi raggiungere in salto. Ma non c’è solo quella cupola: ci sono i tetti di Roma, il monumento a Vittorio Emanuele, il Quirinale, la luminosa magia del centro storico estendersi in lungo e in largo, per non parlare di Trinità dei Monti che sarebbe da toccare con le dita se solo ci si potesse affacciare da quella splendida terrazza.
Una location incantevole, senza dubbio. Come da foto, ma anche di più.
Il ristorante è raccolto, molto intimo, e non ha quel traboccante sfarzo che può disgustare; è al tempo stesso misurato, elegante e raffinato, così come tutto lo staff di sala che ci ha serviti ed assistiti con una maestria unica.
Nessun dettaglio è lasciato al caso, niente sbavature, nessuna frizione.
La cura con la quale veniamo accolti al tavolo, consigliati, fatti sentire completamente a nostro agio (e non fuori posto come potrebbe facilmente avvenire in un luogo del genere) è notevole e probabilmente uno dei fattori fondamentali che rendono Imago un indirizzo stellato.
Immagino che la gestione della sala abbia la sua rilevanza all’interno della valutazione complessiva di un ristorante, ma di certo non può mancare l’anima del ristorante stesso: la sua cucina.
Inutile sottolineare che il menù degustazione è l’opera principe dello chef (Francesco Apreda, qui su Instagram, molto cortese nel suo giro tra i tavoli per conoscere gli ospiti della serata) e in un certo senso la dichiarazione di intenti del ristorante. Impossibile non provarlo e impossibile non rimanerne sbalorditi.
Partiamo dal presupposto che i piatti serviti non hanno niente – o poco – a che fare con i sapori più o meno tradizionali cui siamo abituati. Si tratta di pietanze che sembrano appartenere ad un altro pianeta, nelle quali stupisce, al di là della magnifica presentazione visiva e magistrale composizione a mo’ di opera d’arte, l’accostamento di sapori, consistenze, sentori, scioglievolezze.
Il risultato che ne deriva è alchimia pura. Esattamente come un quadro può trasferire mille svariate sensazioni, più o meno coincidenti con le intenzioni del pittore, così un piatto sprigiona un susseguirsi di Emozioni, non confinate, ovviamente, solo al palato e alla dimensione sensoriale del gusto. Sarà che sono sensibile, sarà che mi emoziono facilmente, sarà che vivere i momenti con le persone giuste amplifica la nostra capacità di avvertire e provare sentimenti, ma io mi sono commossa assaggiando ognuna di quelle meraviglie.
Non c’è cosa più bella che rendere nostra una esperienza fatta di stimoli esterni e trasformarla in una Esperienza intima, anche qui con la E maiuscola, per rielaborarla con il nostro occhio interiore e percepirla nella sua Essenza. Un po’ come si fa con uno splendido tramonto, o di fronte ad un paesaggio, ad una bellezza naturale e alle più svariate forme d’arte e manifestazioni cultuali.
Emozione, Esperienza, Essenza. Ciò che ti lascia una serata in un ristorante stellato e dove una scrutatrice di universi come me non avrebbe potuto non esserne trasportata.
Non esagero quando sostengo che certi vissuti ti rimangono addosso, esercitano un potere su di te che va oltre il singolo momento in cui tale potere prende forma. Ti accompagnano per le ore a venire, per i giorni seguenti, e forse non ti abbandoneranno mai… come in un meraviglioso sogno dal quale non vorremo mai risvegliarci.