Luoghi e volti delle mie notti

Ho sognato di nuovo quel luogo e quelle persone. Lo sogno ad intervalli regolari da qualche settimana, lo sogno con preoccupante nostalgia.
Ho sognato vecchi volti, compagni di scuola, che ho ritrovato in quel luogo.
Ho sognato anche il presente, le persone che attualmente affollano le mie giornate e che mi circondano quotidianamente.
Le ho sognate immerse in quel luogo, che deve avere qualcosa di particolarmente magico e magnetico per fare capolino così spesso durante il mio sonno.
È proprio vero che i sogni traggono spudoratamente spunto dagli stimoli, seppur fugaci e momentanei, assimilati durante la veglia.
Ieri sono per esempio passata davanti alla mia scuola superiore – è in centro, dove al momento lavoro. Ci sono passata di fronte tante volte, lungo il percorso che a piedi mi conduce fino agli uffici, ma è stato solo ieri che ho represso l’istinto di fermarmi a salutare qualche vecchio professore, semmai ancora in ruolo e semmai ancora memore del mio volto. Ero infatti in anticipo rispetto all’orario di ingresso in ufficio e ho avuto la fulminea idea di attraversare il portone, chiedere ad una bidella l’orario della giornata e domandare della presenza della prof. di matematica, o di inglese, o della prof. di tedesco o discipline turistiche, le uniche che probabilmente sono rimaste operative dopo la mia maturità. Ma non l’ho fatto, ho pensato che avrei speso troppo tempo e, benché l’anticipo in cui mi trovassi, sarebbe stato poco opportuno.
Eppure non ho sognato i professori, non ho sognato la sede centrale della mia scuola o i momenti passati in aula durante inglese o matematica. Non ho sognato la maturità, immagine che per un attimo era stata proiettata nella mia mente durante i miei ragionamenti sull’entrare o meno a scuola.
Ho sognato una compagna insospettabile, con la quale non ho mai avuto grossi rapporti di amicizia, e che ho ovviamente perso di vista in questi anni, vista la simpatia e l’affinità che mai era nata tra noi.
Ho sognato il suo volto in modo chiaro e definito, ma anche la sua fisionomia, riprodotta forse meno fedelmente.
Ho sognato che mi ha salutata con entusiasmo, come d’altronde io ho fatto con lei, ma era tutto un po’ forzato e palesemente surreale, perché nessuno delle almeno dieci persone attorno ci ha chiesto come facevamo a conoscerci.
L’interpretazione dei sogni è a mio avviso un’impresa impossibile, fallimentare in origine, poiché innumerevoli sono i fattori che influenzano la fase onirica e ancor di più sono quelli inconsapevoli, dei quali non ci rendiamo nemmeno conto, non conoscendone spesso l’esistenza.
In realtà il mio caso è un po’ a sé, in quanto, al di là del volto poco significativo risalente al periodo della scuola superiore, so benissimo il motivo per cui sogno quel luogo e quelle persone. È una ragione che faccio fatica a confessare a me stessa, è una ragione di cui sono cosciente ma il cui confronto tento di evitare.
Vorrei poter dare ai miei sogni l’interpretazione che meritano, ma credo che a volte sia meglio lasciar correre, non andare tanto a fondo… Ciò significherebbe dare a certi pensieri troppa importanza.
Sono immagini notturne, è facile viverle e poi dimenticarle, purché non riaffiorino insistenti anche sotto la luce del sole. I sogni ad occhi aperti sono ancora più pericolosi e non so quanto riuscirei a conviverci.

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Magritte – Golconda

Un anno fa, c'eri tu.

E’ arrivato il giorno 11. Di già.
E’ già arrivato. E’ già passato un anno dal giorno 11 di un anno fa.
La prima cosa che ricordo nitidamente è il tuo abbraccio, forte ed affettuoso allo stesso tempo, con quel pancione che mi metteva tanta simpatia e quegli occhi celesti così buoni e dolci…
Gli occhi, gli stessi che ritrovo sulla tua foto, ma che non riesco nemmeno a guardare troppo a lungo. La vista si riempie di lacrime e come un velo queste annebbiano il mio sguardo. Ogni cosa perde forma, perde il suo vero colore.
Quando tutto sembra non avere più alcun senso, riaffiora la tua immagine dall’abisso dei ricordi e ti vedo di nuovo come per sempre avrei voluto vederti.
Porti una camicia a maniche corte ed un calzoncino fino al ginocchio. Sorridi, un po’ abbattuto forse, ma mai troppo debole. Il cappello e la sua visiera non possono mancare, così come il tuo fedele compagno di passeggiate, prima Sissi e poi Winnie, quando riuscivi ancora a muoverti senza sforzo. Uscivi. Uscivi per portare a spasso il cane, per fare la spesa, andare al mercato o accompagnare i nipoti a scuola. E venivi a trovarci al mare, ci salutavi al di là della recinzione, quando sull’altalena passavo ancora tutte le mie giornate.
In fondo adesso cosa cambia? Quei tempi sono passati da anni, e quegli anni sono ormai andati via col tempo. L’assenza già c’era, prolungata ma mai infinita. Troppo a lungo siamo stati distanti, troppo tardi quando ce n’era bisogno… In fondo cosa costava una telefonata? Noia, pigrizia, scarsa forza di volontà. Minuti preziosi da dedicare a qualcuno che non è meno prezioso di noi. Qualcuno che non è invincibile, qualcuno che non ci sarà per sempre.
Niente è più importante, niente è così essenziale. Tutto collassa, tutto sprofonda in un baratro. Ciò che conta, spesso non c’è più.