Il duro mestiere di una giornalista in erba.

“Ciao, siamo de La Quarta, il giornale del Municipio. Posso farti qualche domanda…?”

Bocciata dopo la prima frase. Fulminata con lo sguardo. Nessuno vuole avere rogne mentre si appresta a scendere nelle viscere della terra.
Okay, cambiamo approccio. A nessuno interessa dove lavoro. Probabilmente molti non conoscono nemmeno il giornale, nonostante sia presente da più di quarant’anni sul territorio. Alcuni potrebbero pensare che io sia lì per vender loro qualcosa, tipo un abbonamento annuale ad una rivista. Peggio ancora, un’offerta flat per navigare senza limiti da casa.
Okay, proviamo così.

“Ciao, posso farti qualche domanda sulla metro?” (si nota già maggior disponibilità da parte delle nostre “esche”). “Siamo della redazione de La Quarta, il giornale della circoscrizione. Stiamo facendo un servizio…”

A questo punto le reazioni sono due:

A. Accettano

B. Rifiutano

Caso A:

  • Ti guardano un po’ increduli ma poi ti dicono sfacciati, fieri di essersi messi alla prova: “Perchè no?”.
  • Ti sorridono e ti fanno con disinvoltura: “sì, okay”
  • I loro occhi ti fissano impauriti, cercano di decifrare le tue intenzioni (in realtà sarei disposta a chiarire io stessa le mie intenzioni se solo mi lasciassero parlare!) e poi sono loro che domandano a te, con la voce tremante ed il tono insicuro: “Ehmm, di che genere?”
  • Si piazzano di fronte a te e non solo accettano, ma colgono l’occasione per rigurgitare tutta la loro insoddisfazione in merito al servizio, per esprimere la loro contrarietà e per lamentarsi di questo e di quello, come se non avessero aspettato altro per tutto il giorno. Mentre parlano a macchinetta tu ti fai un’impressione di loro; pensi che, poverini, il viaggiare sui mezzi pubblici li ha resi isterici e depressi, è normale che non vedano l’ora di sfogarsi… Li ascolti più o meno con attenzione, distraendoti ed abbandonandoti alle tue considerazioni solo quando ti accorgi che stanno ripetendo per la decima volta che “l’altro giorno ho dovuto aspettare 30 minuti – capito?? 30 minuti! roba da non crederci – il treno!”. Ad ogni modo, alla fine del loro intervento, ringrazi di averli scovati tra la massa dei passeggeri perché in fondo sono le esche migliori dalle quali trarre la maggior parte del materiale per il pezzo che ti appresterai a scrivere.

Caso B:

  • Neanche ti guardano, né ti rispondono. Proseguono dritti per la loro strada, come se non avessero nemmeno sentito il suono della tua voce entrare nelle loro orecchie
  • Ti squadrano dall’alto in basso, valutano se è il caso di risponderti, capiscono che no, non ne vale la pena e si dileguano con una scusa qualunque (ahimè, devo fare proprio una cattiva impressione sulla gente… Che ho gli occhi a palla?!?!)
  • Non ti lasciano pronunciare l’intera frase, ti interrompono, fanno finta di avere il fiatone e le gambe che fremono e ti propinano la scusa più banale che esista, tra l’altro pure poco credibile: “Scusa, vado di fretta!” o “Scusa, sono in ritardissimo, davvero” o ancora “Mi stanno aspettando, perdonami!”. Infine: “Perdo il treno, scusa, ho i minuti contati”. Ma come è possibile, se quando ho adocchiato ognuno di voi in lontananza procedevate con il ritmo di un bradipo e traccheggiavate con il cellulare?!?

Per non parlare, poi, di quei passeggeri che non mi sento di inserire in nessuna delle due categorie, viste le loro così singolari peculiarità. Ci sono quelli che ti rispondono in una lingua sconosciuta, asiatica presumibilmente, percepiscono che tu non hai capito, ma stanno lì fermi ad aspettare la prossima domanda con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia (apprezzo la disponibilità, per carità, ma non capisco quello che dici!). Poi ci sono quelli che accelerano il passo, si inventano degli improbabili slalom per evitarti e passarti alle spalle, si mettono a correre, abbassano lo sguardo, avvicinano il cellulare all’orecchio per simulare una telefonata… Insomma, fanno di tutto per non venire interpellati (ma cosa pensano che potrei mai volere da loro?!?). Ed – ahimè – ci sono quelli che non stanno totalmente a posto con le rotelle, ma in realtà non lo danno molto a vedere: dall’apparenza li diresti sani di mente, ma quando inizi a porre loro delle semplici domande e ti accorgi che le loro risposte non hanno nulla a che fare con quanto è stato chiesto, ti vengono dei dubbi. Alla richiesta di un parere circa il servizio della metropolitana, ci viene replicato più o meno in questo modo: “Beh, buono. Se hai un coltello non passi. Non ti fermano (?) Poi con il coltello puoi fare del male. Il coltellino svizzero taglia. Taglia parecchio.”

E così l’articolo che ti è stato commissionato in qualche modo lo scrivi, ma vorresti tanto parlare del pomeriggio che hai trascorso di fronte all’entrata della metro, armata di penna, taccuino, sorrisi e gentilezza, dotata delle migliori intenzioni e della più serena disposizione d’animo: tecniche che farebbero invidia ai migliori serial killer, piazzati alla luce del giorno in cima alle scale mobili per adescare le proprie vittime.