Dove la porto signorina? Su una stella…

Quando, nella famosa scena del Titanic (famosa perchè l’ho vista 350 volte o perchè è universalmente nota al pubblico di spettatori?), Rose chiede a Jack di essere condotta su una stella, risulta chiaro che il suo riferimento è legato certamente ad un ristorante stellato. Utilizzando altre parole, la sua richiesta sarebbe stata formulata più o meno così: “Jack, mi porti a cena in un ristorante con una stella Michelin?”
Povero Jack (ehi, non lo sto difendendo perchè è Leo, beninteso): in una nave in mezzo all’oceano il desiderio della sua amata sarebbe davvero irrealizzabile. Non si può dire la stessa cosa a Roma, fortunatamente, dove il panorama dell’alta ristorazione e della gastronomia gourmet è assai vivace e variegato, nonostante questa consapevolezza non sia ben diffusa tra i suoi cittadini.
La capitale offre almeno una ventina di indirizzi insigniti del prestigioso riconoscimento Michelin (1 stella), un ristorante con 2 stelle Michelin (Il Pagliaccio) e quella insuperabile terrazza che domina sfarzosamente la bella Roma e custodisce la cucina esclusiva e raffinata dello chef Heinz Beck, anima de La Pergola (3 stelle Michelin).
Ora, io parlo de La Pergola in questi termini perchè la critica fa frequentemente utilizzo di simili aggettivi per descrivere l’essenza dell’arte culinaria del Maestro, ma purtroppo non ne ho mai fatto piena esperienza diretta. A dir la verità, ho avuto la fortuna di assaggiare il delizioso dessert mostrato in foto e che loro chiamano qualcosa come Sfera ai frutti rossi. E che ve lo dico a fare? Pura libidine.
Ho ancora un conto in sospeso con i Fagottelli, piatto cult, storico e distintivo del ristorante, ma temo che rimarranno una lontana e nostalgica fantasia, e magari riuscirò a degustarli solo quando li avranno rimossi dal menù… se mai lo faranno.
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Ma veniamo a noi, anche perchè Rose non è stata così pretenziosa. Si sarebbe accontentata di una sola stella Michelin, se solo il mio adorato Jack fosse ancora vivo (no no, non sto piangendo, e non  ho nemmeno mai pensato di scrivere 3/4/5 finali alternativi del Titanic e consegnarli a James Cameron per la proposta di un rifacimento… MAI FATTO, GIURO!).
Torniamo con i piedi per terra, ma concediamoci per una sera di volare alti nel cielo. Una cena in un ristorante stellato, infatti, è un’esperienza che ognuno di noi, amante o non amante della cucina, esperto o non esperto in materia, dovrebbe provare.
Ve la racconto a breve nel prossimo post… Intanto vado a riscrivere la sceneggiatura del Titanic, senza quel maledetto Iceberg!

J. Edgar [Clint Eastwood]

Primo film visto in sala del 2012. Direi che l’anno può considerarsi iniziato piuttosto bene.
Se proiettassero solo film di questo genere (a voler essere precisi, “genere” nell’accezione di “tipo”, “spessore”), l’anno proseguirebbe a gonfie vele, cinematograficamente parlando.
In quanto al genere in senso stretto, infatti, risulterebbe pesante per tutti, almeno credo, la costante visione di film incentrati su dialoghi, discussioni, processi ed assolutamente carenti di sequenze d’azione o colpi di scena significativi.
Tuttavia, sebbene questo sia il timbro peculiare del film, J. Edgar presenta uno strato di interpretazione più profondo.
Dietro allo scenario burocratico e politico che, ad uno strato superficiale, sembra caratterizzare il film, si cela la volontà di indagare la complessa situazione familiare e psicologica del protagonista, John Edgar Hoover per l’appunto. Il cognome del fondatore/capo dell’FBI non sembra interessare Eastwood, che lo omette persino dal titolo della pellicola, come ad evidenziare la natura di uomo “comune” che si nasconde alle spalle di quel nome e non fossilizzarsi sulla posizione prestigiosa dell’uomo, identificabile appunto dal cognome.
Uomo integerrimo, rigido e determinato, ma anche figlio insicuro e fragile che vede nella madre e nel suo braccio destro, Clyde Tolson, i suoi unici punti di riferimento. Privo di una vita sociale e di relazioni con l’altro sesso (se si esclude il rapporto puramente professionale con la sua segretaria Ellen Gandy), J. Edgar è unicamente dedito al suo lavoro, nel quale crede fortemente e per il quale opera con gran zelo. Peccato che questo lo porterà a crearsi non pochi nemici ed ad attirare su di sè diverse ostilità. Nella vita privata, poi, il rapporto intenso e quasi morboso con la madre, la sua presunta omosessualità, l’ossessione per la decadenza fisica, rendono il protagonista un individuo complesso, “multistrato”, come vorrei permettermi di definirlo.
Inutile dire che Leonardo Di Caprio (il quale, personalmente, dopo due capolavori, quali Inception e Shutter Island, ho rivalutato) interpreti il personaggio voluto da Eastwood così realisticamente da renderlo “vivo”, e non una piatta figura che si muove in maniera fittizia sullo schermo.
Ho assai apprezzato, inoltre, l’alternzanza tra passato e presente, due dimensioni temporali che si sovrappongono e dipendono l’una dall’altra. A questo proposito, merita un breve elogio il lavoro di trucco, che spero sarà benevolmente notato ed otterrà una nomination per i prossimi Academy Awards.

Insomma, film indubbiamente impegnativo, che va seguito e va capito, con la testa, ma anche con il cuore. Con il cuore, ma anche con la testa. Complementariamente.
Clint Eastwood, del quale, da tempo, tento di non perdermi nemmeno un lavoro, ha colpito di nuovo. E ha fatto centro.