Diario di viaggio: la costa dei trabocchi

Combinando una necessità lavorativa con la possibilità di pernottare nella casa in Abruzzo del mio ragazzo abbiamo deciso di cenare in un luogo in cui Armando desiderava da tempo andare, un luogo che in realtà incuriosiva molto anche me: la costa dei trabocchi. Situata tra Chieti e Vasto, lungo la riviera adriatica abruzzese, la costa presenta un fascino assai particolare e suggestivo. La sua caratteristica è l’essere puntellata da diverse strutture a palafitte, i trabocchi appunto, che erano un tempo – e molti lo sono tuttora – enormi macchine da pesca. Nessun palo, rete o trave è posizionato a caso nei trabocchi. Si tratta di strutture in legno con lunghi pontili protesi in mare ed un corpo centrale costituito da una piattaforma rotante che si muove grazie ad una sorta di timone. La piattaforma cala in acqua le reti ed il pesce viene così catturato, per poi essere servito sulle tavole di quei trabocchi che sono anche “risto”. Molti trabocchi hanno optato per questo servizio, pur rimanendo attivi in parallelo anche per la pesca. Quello che abbiamo scelto per la nostra cena si trova precisamente nella contrada Vallevò di Rocca San Giovanni, dalle parti di San Vito Chietino. Il nome del trabocco, Sasso della Cajana, deriva dallo stesso nome di uno scoglio che emerge a largo nel mare, punto di riferimento per i pescherecci ma anche oasi di ristoro per i gabbiani. All’arrivo, purtroppo tardi rispetto all’orario che ci era stato consigliato dal gestore, ci impressioniamo subito dalla distanza del trabocco dal mare (distanza che poi scopriremo essere di 80 metri). Immaginate un ristorante, con tanto di luci, tavoli e cucina, proprio in mezzo al mare. Aggiungete poi il buio pesto, il nero del cielo e dell’acqua, il rumore delle onde, la fresca brezza serale e avrete più o meno idea della sensazione che abbiamo provato. Non nego di essere stata inizialmente intimorita dalle circostanze della cena visto che l’accesso alla piattaforma dove sono collocati i tavoli avviene attraverso un pontile di legno a diversi metri di altezza sul livello dell’acqua. Il fascino delle luci che si specchiano nel nero profondo e scuro del mare è  comunque qualcosa di estremamente incantevole. Ma la magia vera deve ancora arrivare: mettiamo piede dentro il locale ristorante (cinque tavoli da due coperti anche se credo riescano ad aggiungerne qualcuno) si apre l’immenso davanti a noi. Sembra davvero di essere sospesi sul mare, ma non come in una barca perché in questo caso si avvertono gli spazi più ridotti e precari. Una lieve sensazione di galleggiamento è presente però: ti senti un po’ ondeggiare, mentre sei seduto e circondato da chilometri e chilometri di buio che ulula in lontananza.
Il posto da solo – fidatevi – merita quindi una gita ed è significativo che tutti i ristotrabocchi prevedano un menù fisso, viste le dimensioni limitate della cucina. Nel prezzo del menù sono incluse tutte le portate e le bevande, oltre ovviamente alla spettacolare location in cui il pasto viene servito e consumato. Mangiamo bene, pesce fresco, cucinato in maniera semplice dalla mamma del pescatore che gestisce il trabocco. A livello rigorosamente familiare ovviamente. Al termine della cena, soddisfatti e ben sazi, temporeggiamo facendo quattro chiacchiere con Marino, il titolare, nonostante la temperatura si fosse già abbassata di molto ed il vento iniziasse ad essere fastidioso. Ma di fronte alle fotografie che ci mostra e alla storia della restaurazione del trabocco, abbandonato dal padre e poi riconquistato a partire dal 2005, non possiamo che attardarci nell’ammirare ulteriormente questo gioiello di ingegneria pescatrice. Notiamo che accanto al Sasso della Cjana si susseguono altri trabocchi simili, chi più vicino o lontano dal mare. Il paesaggio è ad ogni modo assolutamente incantevole, arricchito da tutte quelle luci e dal loro riflesso nel mare.
Occorre tornarci – ci diciamo – con la luce del giorno per godere appieno dei colori dell’acqua e percepire più intensamente la leggerezza di questi trabocchi.

“La grande macchina pescatoria composta da tronchi scortecciati, di assi e gomene, che biancheggiava singolarmente, simile allo scheletro colossale di un anfibio antidiluviano”
(G. D’Annunzio – Il trionfo della morte)