Roma tempestosa.

Vorrei riproporre qualche estratto di un post che mi è tornato in mente proprio la scorsa mattina, di fronte allo scenario devastante nel quale mi sono svegliata e nel quale si è risvegliata tutta la capitale.
Questo richiamo dimostra come nubifragi da allerta meteo non ricorrano, fortunatamente, in maniera così frequente nella nostra città, ma è al tempo stesso testimonianza indelebile di come le reazioni e le conseguenze di tali eventi siano esattamente identiche nel corso degli anni.
Per la rubrica: spesso ritornano.

LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA.
Questa mattina Roma sembrava una nave pirata in balia della tempesta.
Urge un chiarimento etimologico dei termini di questa “definizione”.
Nave. Con le strade completamente allagate, depressioni profonde più della Fossa delle Marianne stracolme d’acqua piovana, marciapiedi inondati ed impraticabili, con i lampi che ogni tanto squarciavano il cielo, i fulmini che illuminavano la giornata ancora inghiottitta dalle tenebre notturne, Roma pareva essere in bilico, inclinata prima da una parte e poi dall’altra, proprio come un’imbarcazione in preda alle onde più selvagge, incontrollabili, devastanti.
Pirata. Con le strade allagate di cui sopra, automobilisti, motociclisti e qualunque altro utente della strada si sono esibiti nelle loro migliori performance: parcheggi impossibili, cambi di corsia improbabili, passaggi ad altissima velocità su pozze d’acqua nelle quali rischiavano anche di affondare, slalom assurdi da parte dei motorini più impavidi, autobili ferme, con il motore spento, in quelle stesse pozze di prima… Il panico. […]
Tempesta. Beh, non c’è bisogno di aggiungere altro. Mi è bastato guardar fuori dalla finestra stamattina e trovarmi davanti un infuriato cielo stile The Day After Tomorrow per realizzare che “tempesta” non era nemmeno la parola più adatta per definire la giornata.
Fortunatamente, nel primo pomeriggio, la nave pirata ha assunto le sembianze di una pacata barca a vela, cullata da un mare più calmo.
Ed è sopraggiunta la quiete, si è fatto strada il sereno, anche se solo per pochi minuti.
Il cielo si è aperto, uno spicchio di sole è spuntato fuori e le nuvole si sono pian piano schiarite. Con lo sguardo rivolto verso questo scenario, mi sono concessa una lunga passeggiata, assaporando la bellezza di quel momento, appena successivo ai tuoni, ai lampi, all’incessante pioggia, godendo appieno di quella pace, ancora più sentita grazie alla solitudine che mi circondava, poichè non ho incontrato nessuno sul mio percorso.
Non una parola ha interrotto l’armonia di quel cammino, in cui sentivo solo il rumore dei miei passi e l’ansimare del mio respiro; non un suono, se non l’ululare del vento, ha potuto distogliere la mia attenzione dal cielo che mi sovrastava e mi trasmetteva una instabile, eppur piacevole, sensazione di serenità. […]
La quiete dopo la tempesta non è durata a lungo, ma che bella che è stata.

(Sopra)vvivere a Roma e sopravvivere alla pioggia – parte #2

Continua da: (Sopra)vvivere a Roma e sopravvivere alla pioggia -parte #1

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La mensa è forse l’unica nota positiva della giornata. Non sempre ci sono piatti di mio gradimento: spesso trovo la carne, sughi che non mi attirano.
Oggi fare pausa pranzo alle 13 con un bel piatto di tagliolini al limone è sicuramente una piacevole sorpresa.
Ma l’umore scende di nuovo sotto le scarpe (bagnate) all’apertura dell’armadietto, riesumando i vestiti che, contro ogni speranza, sono nelle stesse condizioni della mattina.
Mi vesto controvoglia, i brividi mi si arrampicano sulla pelle, asciutta e calda ancora per poco.
I calzini, bagnati, entrano nelle scarpe, bagnate, ed una spiacevole sensazione di umidità mi avvolge tutto il corpo, la pelle trema e le le dura dei piedi si raggrinziscono.
Almeno fuori non piove. I mezzi pubblici questa mattina non mi hanno dato problemi, potrò presto tornare a casa e, nonostante sia uscita più tardi, potrò recuperare il tempo speso in ufficio…
45 minuti per 10 chilometri, 25 minuti per un autobus che normalmente ha la frequenza di 5 minuti a corsa. E non sono neanche abbastanza.
Quando decido di incamminarmi verso la metro – la strada sarà pure lunga, ma tutto sommato è in discesa – prometto di non arrabbiarmi se dovessi vedere l’autobus sfrecciarmi davanti, passato al 36esimo minuto di attesa. Questo non succede ed in 20 minuti di camminata non c’è l’ombra del 913… Una soddisfazione, dopo tutto. Ho fatto la cosa giusta.
E mentre l’umidità mi sale dai piedi alla vita, dalla vita ai capelli, mentre sento di fare già tardi, visto che sono le otto passate e non sono lontanamente vicina a casa, mentre ascolto, camminando in fretta, un ragazzo parlare di 80 e 93, gli autobus che transitano sotto casa mia, è in questo momento che provo pietà per me e mi sento uno straccio di fronte al mondo.
Questo giorno non dovrà essere dimenticato.
Questo giorno non potrà cadere nell’oblio.
Ecco che dovrà passare alla storia ed essere ribattezzato come:
“Il venerdì nero della Golden Medal Street”.
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