Diario di Viaggio: Portogallo. Parte II – COIMBRA E PORTO

porto

[…Segue da Diario di Viaggio: Portogallo. Parte I – LISBONA E SINTRA]

GIORNO 5

Coimbra è famosa per essere una delle cittadine universitarie più antiche del mondo e ad un primo acchito sembra più una cittadina asburgica che portoghese. Questo almeno dall’ingresso in città dal Ponte de Santa Clara.
Noi ci abbiamo trascorso un giorno in quanto perfettamente a metà strada tra Porto e Lisbona, ma per esempio alcune alternative come tappe intermedie potrebbero essere Averio, Obidos o Tomar, tutti paesini uno più caratteristico dell’altro.

A Coimbra consigli di entrare nelle chiese perché riservano delle pareti riccamente decorate con azulejos originali, maioliche dipinte di azzurro che raffigurano storie, gesta, battaglie, momenti topici.
Passate per l’università, sulla sommità della città, e poi scendete verso la Cattedrale, Sé de Coimbra, che è molto particolare poiché non gode di un’ampia piazza intorno, come di solito avviene nelle tipiche piazze del Duomo. In realtà la chiesa è quasi nascosta tra gli edifici e la piccola piazzetta che la ospita è in discesa e inclinata. Quando siamo stati noi in visita, era pure invasa da lavori! 
Proprio perché dall’esterno potrebbe perdere un po’ , abbiamo deciso di entrare e visitare il chiostro che ci ha molto ricordato quello del Monastero dos Jeronimos, anche se più piccolo e ancora più silenzioso.

coimbra

Nel pomeriggio abbiamo preso un Flixbus e siamo arrivati a Porto in serata. Ci ha accolto fiume di gente che avremmo capito solo il giorno dopo essere una caratteristica più o meno costante di Porto.

GIORNO 6

Sotto il nostro hotel è pieno di pastelerie e la colazione diventa presto il pasto più bello della giornata, la giusta ricarica di energia posteggiati a qualche tavolo di caffè.

Partiamo da un distinguo, fondamentale per apprezzare Porto specialmente nel corso di uno stesso viaggio che ha toccato anche Lisbona.
Le due città sono molto diverse tra loro. Se Lisbona ci aveva sorpreso e conquistato con il suo fascino da capitale europea sul mare, con i suoi colori, i suoi panorami, i suoi miradouros,  Porto ci ha accolti con un’atmosfera più intima e romantica, quasi decadente, con la musica in ogni angolo. Frizzante, vivace, brillante e in parte bohemien.

Lisbona vesti i panni di una grande città e questo si nota nelle architetture in centro, nelle distanze tra un posto e l’altro, nei movimenti della gente.
Porto sembra un paese di pescatori trapiantato sul fiume Douro e arricchito di qualche spunto che guarda al futuro: un misto tra autenticità e modernità che si fotografa benissimo sulla sponda della Ribeira estendendo lo sguardo al Ponte Luis I, capolavoro ingegneristico realizzato da un vicinissimo collaboratore di Eiffel.

E anche qui, una grande differenza. Mentre il Ponte 25 do Abril a Lisbona è un grandioso panorama da immortalare, un gigante con il corpo rosso che ricorda il Golden Gate, il Ponte Luis I è pedonale, percorribile sia sotto che sopra, apprezzabile da vicinissimo.

Porto si gira facilmente a piedi e la passeggiata potrebbe partite dalla Igreja do Carmo, un trionfo di azulejos sulle mura esterne che contrasta con la pietra scura dei campanili. Visitate poi la Livreria Lello, che sembra abbia ispirato J. K. Rowling nell’immaginare alcune ambientazioni di Harry Potter. La libreria è il classico luogo “Instagram vs Reality“: è piena di gente e le foto non saranno mai come quelle che vedete su internet. Ma il biglietto di ingresso, €5 a persona, vi verrà scalato dall’acquisto di un libro/volume/souvenir all’interno. Impossibile non comprare qualcosa: hanno versioni bellissime dei classici della letteratura, diverse edizioni speciali della Saga di Harry Potter, prime edizioni di alcuni capolavori come 1984 e Orgoglio e Pregiudizio. Per gli amanti della lettura, questa libreria ottocentesca è una tappa obbligatoria.

Scendendo poi verso la Torre dos Clerigos percorrerete una via piena di negozi e di locali e inizierete a percepire la gente che riempe la città. Arriverete così alla Stazione Sao Bento e la folla vi avrà ormai reso parte di sé (tutto questo a metà settembre inoltrato).
La stazione è decorata interamente di azulejos ed è spettacolare. Poco più avanti si intravedono le torri della Cattedrale, Sé do Porto, meravigliosa per la sua posizione e il suo aspetto gotico-romantico.

Cominciano a delinearsi i primi panorami della città, con le torri e i campanili di pietra scura che si stagliano sopra i tetti rossi e arancioni. Ma questo skyline non ha niente a che fare con quanto siamo abituati in Italia, fotografando borghi e paesini tipici.
Sembra un luogo uscito fuori non tanto dal passato, ma da un racconto fiabesco con tanto di illustrazioni disegnate su una pergamena antica.

Scendete ancora e giungerete al quartiere più pittoresco e rappresentativo di Porto: la Ribeira. La Ribeira è il lungofiume quasi fumettistico, fatto di casette colorate che mi hanno ricordato a tratti le Cinque Terre. Qui l’atmosfera è bellissima: gabbiani che volano e si posano sul molo, musica che si leva dagli artisti di strada, ristoranti e bar in piena attività, turisti accomodati ai tavolini che sorseggiano un bicchiere di Porto e ammirano il paesaggio e il passeggio. E poi giovani, tantissimi giovani, con le gambe a penzoloni sul fiume mentre fanno un picnic e bevono qualcosa. Sullo sfondo, il ponte Luis I che è davvero molto suggestivo.

Eh sì, perché siamo arrivati fino a qui anche noi per il Vinho do Porto, per il quale ci aspetta una degustazione nel pomeriggio.
Attraversiamo quindi il fiume camminando sul ponte di ferro e “sbarchiamo” a Villanova de Gaia, la gemella di Porto che, anziché le casette colorate, sfoggia le cantine di Porto una dietro l’altra, con insegne e stili tutti diversi tra loro.

Noi avevamo prenotato la visita alla cantina Burmester, una delle poche cantine che offre tour e degustazione in lingua italiana (i prezzi partono da €13), ma ce ne sono davvero tante altre. Prenotate prima la visita perché andando il giorno stesso rischierete di non trovare posto.
Terminata la visita (e, nel nostro caso, il doveroso acquisto) potete godere ancora della passeggiata con vista su Porto e prendere poi la funicolare (€6 a testa il biglietto) che vi porterà fino al Jardin do Morro, un bellissimo parco affollato di ragazzi che si godono l’aperitivo e un drink all’ora del tramonto. Anche qui atmosfera molto chillout.

La Ribeira in effetti è una zona super movimentata anche la sera, come immaginerete, ma se volete un’alternativa per la serata potete rimanere nei quartieri Carmo o a Praca do Libertade, ugualmente vive e frequentate.

Consiglio per il cibo: Il piatto tipico di Porto è la Francesinha, che altro non è che un sandwich servito con tantissimo formaggio e sugo di carne. Potrebbe lontanamente ricordare la nostra lasagna, anche se ovviamente il paragone non regge, ma è solo per farvi “visualizzare” mentalmente la portata del piatto.
Il panino è ripieno di prosciutto, formaggio e carne di maiale ed è accompagnano con alcune fette di formaggio fuso sopra e immerso in un sugo di carne leggermente piccante.
La domanda sarebbe: è da provare? Sì, ma una volta è sufficiente! Lo troverete molto facilmente in giro, lo propongono sia bar che ristoranti. Inoltre noi abbiamo diviso una porzione a metà perché l’apporto calorico e la “pesantezza” del piatto erano davvero alle stelle.

GIORNO 7

Abbiamo dedicato l’ultimo giorno al Mercato Bolhao (non andateci di domenica che è chiuso), alla Igreja de Sao Francisco e ai Jardins do Palacio de Cristal che sono un punto panoramico molto privilegiato e romantico per godere di scorci sulla Ribeira. E poi il parco è abitato da bellissimi pavoni, madri e cuccioli, che girano in totale libertà tra aiuole e fontane!

Dopo 7 giornate di questo tipo, itineranti, sempre diverse, con una valigia da fare e disfare ogni due giorni, siamo tornati a Roma pieni di foto e con la necessità di almeno un’altra settimana per recuperare.
Eppure è questo il vero senso del viaggiare e la differenza con il partire semplicemente per una vacanza: se il viaggio non ti entra profondamente dentro, fino a farti sentire il suo peso specifico su spalle e gambe, che viaggio è?
Non smetteremo mai di domandarci cosa può  esserci in giro ancora pronto a stupirci, sorprenderci, farci innamorare. E finché il mondo continuerà a offrirci la possibilità di meravigliarci ogni volta, noi continueremo a lasciarglielo fare.

Faber: cantautore di poesie – La città vecchia

E’ ora di uscire allo scoperto con la mia passione per quel cantautore genovese degli anni Sessanta e Settanta che ha scalzato in poco tempo ogni suo concorrente nelle mie playlist di Spofity e Youtube e ha monopolizzato, con fare da padrone, il vano portaoggetti dell’automobile riempendolo di cd, album, raccolte e collezioni. Alcune sono solo in prestito, altre proprietarie, ma non è questo che conta.  Conta che mi scoppia dentro un entusiasmo folle ogni volta che ascolto la sua voce, mi soffermo sui suoi testi e mi faccio catturare dalla sua musica.

Non immagino sin d’ora un seguito a questo post – ho sempre scritto in modo molto spontaneo, senza pianificazione, senza programmazione di puntate, episodi, sequel o prequel. Non so se questo mio voler condividere con voi testi delle canzoni di Fabrizio De Andrè genererà una rubrica o una sorta di appuntamento fisso sul blog. Lo faccio perché mi va di farlo, ora, adesso, in questo momento.

E non ho, ovviamente, la benché minima pretesa di fornire un’analisi, esegesi o interpretazione di canzoni che da tantissimi esperti sono state a lungo studiate e prese in esame. Si tratta piuttosto di una riflessione personale, come quasi ogni scritto in questo blog, rispetto alle emozioni, le fantasie, le idee che – dicevo prima – mi si scatenano nel profondo ad ogni contatto con Faber.

Eccomi quindi a condividere con voi una delle mie canzoni preferite, tanto per cominciare, che non si fa fatica a paragonare ad una poesia. Ma, del resto, quale delle sue opere musicali non lo è?

LA CITTA’ VECCHIA

Ispirata alla omonima poesia di Umberto Saba dedicata a Trieste, che, tra parentesi, ho conosciuto grazie al mio illuminato professore di Italiano alle scuole superiori, La Città Vecchiadeandreiana dipinge con una pennellata da maestro la folla umana pullulante per i quartieri di Genova, restituendone una immagine lirica e realistica insieme.

Non si tratta dei quartieri borghesi dai quali proviene il rampollo De Andrè, bensì delle zone più malfamate, degradate, quelle evitate con discrezione durante il giorno eppur bramate segretamente la notte. Quelle vie, delle quali la più famosa e resa nota dalla sua opera è stata Via del Campo, che ospitano prostitute, barboni, alcolizzati, criminali, diseredati, i matti della città, i reietti della società. Proprio quei casi umani che Faber ha sempre avuto molto a cuore.

Nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi
ha già troppi impegni per scaldar la gente d’altri paraggi

Con questa introduzione simile ad una cinepresa che cattura una panoramica urbana, ci addentriamo per i vicoli della città vecchia sapendo che attraverseremo zone buie, nascoste e oscure, dimenticate persino da Dio che dà luce solo ai quartieri eleganti e benestanti.
I primi personaggi che incontriamo sono un gruppo di vecchietti che si ritrovano abitualmente e regolarmente allo stesso tavolo dello stesso bar, per passare le giornate a giocare a carte, bere e lamentarsi di tutto quello che non va nel mondo. Probabilmente per circostanza, probabilmente perché ne hanno già dette di tutti i colori nel corso della loro vita, attorno al loro tavolino conversano di donne, clima e politica.

Una gamba qua, una gamba là, gonfi di vino
quattro pensionati mezzo avvelenati al tavolino
li troverai là, col tempo che fa, estate e inverno
a stratracannare a stramaledire le donne, il tempo ed il governo.

Loro cercan là, la felicità dentro a un bicchiere
per dimenticare d’esser stati presi per il sedere
ci sarà allegria anche in agonia col vino forte
porteran sul viso l’ombra di un sorriso tra le braccia della morte.

Ecco che ci imbattiamo ora in un estraneo, un professore, la tipica professione intellettuale vestita degli abiti del perbenismo che dall’alto della sua cattedra giudica i vizi, condanna la perdizione celata negli anfratti della città vecchia. Eppure è la prima persona che si spoglia dei suoi indumenti e si immerge anima e corpo in quel degrado che tanto denuncia, ma che è tremendamente umano e vero. Così recita Faber in queste due strofe a dir poco meravigliose:

Vecchio professore cosa vai cercando in quel portone
forse quella che sola ti può dare una lezione
quella che di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie
Quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie.

Tu la cercherai, tu la invocherai più di una notte
ti alzerai disfatto rimandando tutto al ventisette
quando incasserai e lapiderai mezza pensione
diecimila lire per sentirti dire “Micio bello e bamboccione”.

Sarà già noto ad alcuni, ma è curioso menzionare come Faber abbia dovuto modificare la rima degli ultimi due versi della prima strofa, visto che il suo messaggio utilizzava inizialmente parole molto più forti e dirette:

Quella che di giorno chiami con disprezzo specie di troia
Quella che di notte stabilisce il prezzo alla tua gioia.

Ecco la parte che più preferisco, sebbene adori in realtà tutta la canzone. Qui Faber riesce con una sola frase – grassettata da me – a far respirare l’atmosfera di una città portuale, far assaporare il gusto del sale sulle labbra, far vibrare la pelle perché pizzicata dalla sapidità dell’aria. Ed io mi inebrio di fumi e profumi, avverto la densità pesante di quella massa trasparente calata sopra le stradine strette, sudate, magari sporche, che si tuffano nel mare.

Se ti inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli
In quell’aria spessa carica di sale, gonfia di odori
lì ci troverai i ladri gli assassini e il tipo strano
quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano.

Infine la morale – cristiana? socialista? non importa – dell’accoglienza e della tolleranza da estendere ad ogni uomo, figlio di Dio o, in una visione più panteistica che forse Faber prediligeva, figlio del mondo, creatura della vita che merita rispetto e dignità.

Se tu penserai, e giudicherai da buon borghese
li condannerai a cinquemila anni più le spese
ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
se non sono gigli son pur sempre figli
vittime di questo mondo.

Non mi stancherò mai di ascoltare questo pezzo e indugiare su ognuna delle sue parole, scelte con la cura, l’ironia e l’intuizione che solo un genio può avere. E ancor di più, non riuscirò mai a distaccarmi dalle scene che De Andrè tratteggia come se stesse dipingendo il presepe della sua Genova su tela, in una descrizione che va dal lirismo più assoulto al realismo più crudo, autentico. Non servono mezzi termini, eufemismi, giri di parole. Ma metafore poetiche che hanno il sapore di vero e vissuto, tanto forti quanto dirette e schiaccianti.

Seguendo il ritmo di una scanzonata ballata, allegra e spensierata nelle note musicali, ci troviamo di fronte lo spaccato di una Genova marinaia, portuale, chiassosa e popolosa.
La città vecchia di ogni luogo e di ogni Paese per me rimarrà sempre quel cuore pulsante cantato da Faber.