Leggende metropolitane

Turisti chiassosi, tutti berretti, pantoloncini e sandali, si spalmano a vicenda la crema solare sulle loro pelli bianche, già arrossate nei sottorranei della città senza aver nemmeno visto la luce.
Stormi di orientali cinguettanti suoni incomprensibili migrano dietro ombrelli e biandierine puntati in alto da un guida la cui statura è tutto fuorchè alta.

ROMA, Linea A, direzione Battistini, fermate di Lepanto e Ottaviano – Musei vaticani. 
In una giornata di pioggia.


Romani veraci urlano al telefono mentre camminano avanti e indietro per il vagone.
Famiglie Rom salgono a bordo con tutto il loro equipaggiamento acustico di ultima generazione, completo del bicchiere di cartone rubato alla Coca cola del Mc Donald’s.
Baldi lavoratori con zainetto del computer in spalla o rigida ventiquattrore tenuta salda nella mano destra scendono alla fermata dove li aspetta il grigio e monotono pulmino della navetta aziendale.

ROMA, Linea B, direzione Laurentina, fermate di Garbatella, Eur Magliana e Eur Fermi
Una qualsiasi mattina di un qualunque giorno di lavoro infrasettimanale.


Extracomunitari accaldati, pelli maleodoranti, capelli nauseanti, prendono possesso del vagone circondati dal loro impero di conquiste date da carrelli, sacche, scatoloni e bustoni ricolmi di vestiti e cianfrusaglie.

ROMA, Linea A, direzione Anagnina, fermate di Anagnina
Una calda giornata di primavera.


Pendolari assonnati, stanchi, disperati.
Studenti universitari dal primo all’ultimo esame, dal volto assente, dallo sguardo spaesato, nelle tasche un iPod, nelle orecchie l’eco di tante parole.
Anziani signori e signore sedute con la testa tra le mani, il cappello calato sulla fronte, il rossetto sbavato sui denti, il sacchetto della spesa fra le gambe, riempito giusto alla fermata precedente.

ROMA, Linea B1, direzione Jonio, fermate di Policlinico, Bologna e Conca d’Oro.
Una qualsiasi ora di punta in qualunque giorno della settimana.

Tram tram.

Il tram. Che strana parola. Non suona nemmeno italiana con questa finale in consonante. D’altronde anche autobus non termina in vocale, ma sembra più familiare.

Il tram. Era un vita che non lo prendevo. E non ricordo nemmeno l’ultima volta che vi sono salita, sempre che ci sia mai stata una volta.

Il tram. Un’esperienza. In certe zone di Roma non che può essere l’unico mezzo di trasporto possibile, così integrato con tutto il tessuto urbano, le piazzole strette in mezzo ai viali, i binari con gli attraversamenti pedonali.

Il tram. Quello sottile e lungo, rialzato di almeno tre grossi gradini dalla strada. Quello verde con la scritta arancione, che sa di vettura d’altri tempi, anche se di vagoni vetusti e treni datati a Roma se ne incontrano ancora.

Il tram. Un fascino autunnale, l’immagine dei binari dipinti di giallo ed arancione lungo viali alberati che piangono foglie. I passeggeri con cappello e cappotti, le zone di Roma più residenziali, l’ora tarda del giorno che precede il rientro in casa.

Il tram. Una musica jazz che accompagna il viaggio, sottofondo di un film che altro non è che una città in cartolina, incorniciata dai finestroni del vagone. Il Bioparco, Valle Giulia, le Belle Arti e Viale Liegi: scene indimenticabili di un nastro che scorre a tratti, che si arresta ai semafori e rallenta in salita. Fermo immagine all’apertura delle porte, avanti veloce tra una fermata e l’altra, riavvolge tutto al capolinea.

Il tram. Un cinema urbano in movimento, con tutta la sua colonna sonora.