Il notturno piacere

Da “Il Piacere”:

Ne’ baci d’Elena era, in verità, per l’amato, l’elisir sublimissimo. Di tutte le mescolanze carnali quella pareva loro la più completa, la più appagante. Credevano, talvolta, che il vivo fiore delle loro anime si disfacesse premuto dalle labbra, spargendo un succo di delizie per ogni vena insino al cuore; e, talvolta, avevano al cuore la sensazione illusoria come d’un frutto molle e roscido che vi si sciogliesse. Tanto era la congiunzion perfetta, che l’una forma sembrava il natural complemento dell’altra. Per prolungare il sorso, contenevano il respiro finché non si sentivan morire d’ambascia, mentre le mani dell’una tremavan su le tempie dell’altro smarritamente. Un bacio li prostrava più d’un amplesso. Distaccati, si guardavano, con gli occhi fluttuanti in una nebbia torbida. Ed ella diceva, con voce un po’ roca, senza sorridere: -Moriremo.

Dal “Notturno”:

Sento il sole dietro le imposte. Sento che c’è un’afa chiara e languida sul canale. Sento che è bassa marea.
La primavera entra in me come un nuovo tossico. Ho le reni dolenti, in una sonnolenza rotta di sussulti e di tremori.
Ascolto.
Lo sciacquìo alla riva lasciato dal battello che passa.
I colpi sordi dell’onda contro la pietra grommosa.
Le grida rauche dei gabbiani, i loro scrosci chiocci, le loro risse stridenti, le loro pause galleggianti.
Il battito di un motore marino.
Il chioccolìo sciocco del merlo.
Il ronzio lugubre d’una mosca che si leva e si posa.
Il ticchettio del pendolo che lega tutti gli intervalli.
La gocciola che cada nella vasca da bagno.
Il gemito del remo nello scalmo.
Le voci umane nel traghetto.
Il rastrello su la ghiaia del giardino.
Il pianto d’un bimbo non racconsolato.

Ora, ditemi, vi sembra la stessa persona?

Chi lo avrebbe mai detto che un tale D’Annunzio potesse concepire parole e pensieri come quelli del Notturno? Io, di certo, mai. Ho studiato, sì, come fosse in grado di vestire diverse maschere, come fosse un intellettuale eterogeneo e disponibile ad assumere i più disparati ruoli, da giornalista d’assalto a librettista, da poeta lirico a narratore superomistico.
Ma queste parole, così dirette, così semplici, mi hanno lasciato di stucco. Le ho rilette a casa, dopo averle esaminate a scuola, e le ho trovate così poetiche che “La pioggia nel pineto“, al confronto, sembra una filastrocca di scuola elementare.
Cosa c’è di meglio se non utilizzare le parole che spontaneamente ci giungono alla mente? Cosa c’è di più poetico se non descrivere la realtà nel modo più immediato in cui la percepiamo, la avvertiamo, la facciamo nostra? Niente artifici, nienti lavori di cesello, niente termini ricercati e forzatamente edulcoranti.
Ma impressioni, sensazioni. Nella maniera più autentica queste giungano ai nostri occhi, al nostro udito. Al nostro animo.

Libri come: conversazione con Carlos Ruiz Zafòn

@Scrutatrice

Non l’avrei mai saputo se non fosse stato per mia madre.
O meglio, l’avrei saputo, ma troppo tardi.
Proprio il giorno prima il verificarsi dell’evento, mi sono difatti imbattuta nella sua locandina pubblicitaria, ma non avrei comunque fatto in tempo a parteciparvi.
Tipico. Mi trovo sotto gli occhi la notizia relativa ad un’iniziativa alla quale vorrei prendere parte, ma subito dopo averla adocchiata scopro puntualmente che HA già AVUTO luogo, oppure, nel migliore dei casi, che AVRA’ luogo nel giro di un’ora dal momento in cui la leggo.
Risultato: distolgo gli occhi (ed i pensieri) dalla pubblicità, tiro un sospiro di rassegnazione (finora sapevo che si potessero tirare solo sospiri di sollievo, Veronica…) e mi riprometto di informarmi per tempo la volta successiva.

@Scrutatrice

Ma questa occasione, merito la tempestività della mamma che mi ha linkato il sito dell’Auditorium, non me la sono lasciata sfuggire.
Così, mentre ristoranti, locali e discoteche si sono riempiti di spiriti femminili più o meno esaltati ed hanno organizzato serate per rendere onore alla festa della donna (?!), il mio 8 marzo è stato dedicato alla Festa Del Libro E Della Lettura.
In particolare ho avuto modo di assistere all’incontro con Carlos Ruiz Zafòn, autore di uno dei miei libri preferiti: L’Ombra Del Vento.
Se potessi (ergo: se non avessi altre letture in sospeso) lo ricomincerei daccapo, riprenderei l’avventura dall’inizio, soddisfacendo così le speranze espresse dallo stesso autore nel corso dell’intervista: “Mi auguro che i miei lettori abbiano voglia di rileggere la storia, partendo dalla direzione contraria, dalla conclusione agli albori, e magari da un altro punto di vista, da una diversa angolazione.”
Queste sono state le parole pronunciate nella parte finale del suo intervento, durato un’oretta abbondante, ma trascorso assai gradevolmente.
Tra le molte cose dette, due sono quelle che maggiormente mi han colpito e che vorrei condividere con voi.
Innanzitutto Zafòn ha sottolineato il fatto che i suoi libri non sono indirizzati ad un pubblico ben determinato, in quanto egli scrive per tutti, per chiunque abbia voglia di leggerlo o chiunque sia magari attratto dalla copertina del volume (benchè l’autore abbia voluto evidenziare che “You can’t judge a book from the cover”). Sebbene le sue prime esperienze da scrittore si registrano nel campo della letteratura giovanile, oggi Zafòn non si rivolge a bambini, adolescenti o adulti in particolare. Non ha dunque la necessità di adeguarsi ai gusti di una determinata fascia di pubblico, giacchè un preciso destinatario non esiste, cosa che rende il suo stile spontaneo, il modo di scrivere sincero ed il messaggio da comunicare immediato e diretto.
In secondo luogo, Zafòn ha trattato il problema/vantaggio della distanza dal luogo di ambientazione delle sue storie, vale a dire Barcellona (egli vive ed opera, infatti, a Los Angeles). Una Barcellona “carezzata in ogni suo recesso”, esplorata in ogni suo più occulto angolo; una Barcellona viva, vibrante, considerata persino come “protagonista femminile” delle sue opere. Ebbene, proprio il trovarsi lontano da Lei (“Lei” in quanto città personificata) permette di apprezzarla con sempre nuovo stupore e riscoprirla sempre diversa meraviglia, restituendo ai lettori l’immagine di una città magica.

Ora scriverei del mio stato di trepidazione mentre ero in fila in attesa del suo autografo, parlerei dei sorrisetti nervosi che rivolgevo alla fotocamera e vi direi del mio corpo irrigidito nel momento in cui gli stringevo la mano e balbettavo: “Muchas gracias” …
Invece no. Invece vi lascio con alcune foto di quel luogo in cui si respira sempre un profumo diverso: musica, arte, danza, teatro, cinema, letteratura…
Un profumo con il forte retrogusto di Cultura.

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@Scrutatrice - Le "mie" bandiere dell'Auditorium