It’s a little bit funny, this feeling inside.

it's a little bit funny this feeling inside

È buffo.
Credo di avere una pentola a pressione in testa. Esatto, di quelle che si usano per cuocere la verdura lentamente, senza soffritti, senza grassi. Ma lentamente.
Così si cuociono le mie cellule nervose, a ritmo costante, eppur graduale.

Gli stimoli che bollono, bollono, bollono. Le sollecitazioni che si cucinano. Il coperchio che fischia. Un fischio assordante, quasi insostenibile, di quei rumori che iniziano lievi ma che insinuandosi in tutti i canali del timpano perforano la testa crudelmente.

Nessuno vuole sentir parlare di cose tristi, Veronica.
Nessuno leggerà mai dei tuoi turbamenti e delle sue disillusioni.

Sogni infranti, castelli disciolti come fossero fatti di sabbia, progetti sfumati come il respiro esalato in un giorno di inverno.

É vero, diamine. È verissimo.

Oggi sui blog si parla solo di fashion, beauty, delle ultime tendenze del mondo fitness o food. Food & Fitness.
E di lifestyle. Il gigantesco universo del lifestyle che include i consigli per sturare il lavandino intasato per i troppi capelli pettinati in luoghi diversi dalla tazza del water ai suggerimenti per sbucciare la cipolla senza versare nemmeno una lacrima.
Ma in mezzo c’è il life-style, lo stile di vita, eh. Vuoi mettere?
In mezzo c’è tutto quello che non siamo riusciti a far rientrare in categorie di pensiero ben definite e che concettualmente ha attinenza sia con gli strofinacci da cucina che con le nuove frontiere dell’hi-tech per risolvere i problemi di insonnia.

Però se parli di morte, di solitudine, di tradimenti, di rancore e di Fabrizio De Andrè, nessuno ti leggerà mai Veronica.

Ah, anche viaggi, è vero. Ogni tanto vivo e mi piace girare il mondo. E di cucina, sì. Tanto per cambiare vado a cena fuori, già. Ma pur volendo scrivere di ogni cosa che faccio, il mio cervello a pressione si fissa su quei dannati fornelli e cuoce, cuoce, cuoce. Cuoce a fiamma lenta e regolare, fino a lessarmi i neuroni.

Chiamatelo sfogo virtuale, chiamatelo esercizio di scrittura terapeutica o flusso di coscienza incontrollato ed impetuoso chemancolaWoolf. Chiamatelo come volete.

Io vi dico che mi aiuta a spegnere i fornelli e a concentrarmi sulla pentola guardandola a debita distanza.
È buffo. Tutto questo meccanismo.
É buffo, ma funziona.

Ovunque, sei.

Oggi la mia testa è invasa da suggestioni, affollata di pensieri.
Oggi è una giornata un po’ particolare. Speciale, come avresti detto tu.
Oggi è finalmente arrivato, dopo mesi di programmazione, di premeditazione, dopo giorni passati a prefigurarmi come avrebbe potuto essere, cosa avrei potuto dire e il modo in cui mi sarei dovuta comportare.

Non ho fatto o detto niente, chiaramente, di ciò che avevo immaginato.
In tutti questi giorni, trascorsi nell’attesa di una rivelazione che non si è mai mostrata, non c’è stato momento in cui non ti abbia pensato.

Oggi è un giorno come tanti, giusto con qualche peculiarità in più. Direi una peculiarità almeno, piuttosto significativa in realtà. Come impedire alla mia mente di ricordarti, come costringerla dentro i confini del buon senso? Come evitare che evada in un vagabondaggio utopico, che decolli per esplorazioni concettuali e immaginifiche pericolose?

Ho imparato a limitare ognuno di questi istinti, in tutto questo tempo.
Ho imparato a scacciare quelle innumerevoli e poco sensate associazioni di idee in cui tu eri sempre il protagonista.
Sono riuscita ad allontanare la tua immagine, quel chiodo fisso in testa che ha tormentato a lungo le mie notti, i miei sogni, i miei risvegli.

Ma oggi è giorno speciale, ricco di eventi che si collegano a ricordi, pieno di ricordi che popolano gli eventi.
Concedimi di pensare a te come avrei fatto una volta, annullando ciò che è successo dopo.
Permettimi di accarezzare solo i ricordi più piacevoli, le memorie spensierate e i momenti più sereni, quelli in cui il tuo volto illuminava le nostre giornate e il tuo sorriso contagiava, senza distinzione, tutti i presenti.

E le tue battute pronte, le tue salde convinzioni, il tuo fare brioso che in qualche modo mi hai trasmesso. La leggerezza di affrontare i problemi quando si presentavano, se si presentavano, nelle dimensioni in cui si palesavano. Non esasperavi questioni, non caricavi di ansia le tue spalle e con una valigia riempita di quotidianità viaggiavi sempre su un binario parallelo, sopraelevato rispetto alla frenesia del mondo.

Bastano piccoli stimoli perché le associazioni mentali che irrazionalmente elaboro mi conducano a te. Una foto, un cibo, una ricorrenza, una parola. Un flusso di coscienza incontrollato, selvaggio, eppure nella sua impetuosità così terapeutico.

Sei dappertutto anche se non sei più niente, sei ovunque anche se non sei presente.
Sei dentro di me e oggi voglio urlare con tutto il volume della mia voce all’universo che ti penso, ti penso, ti penso.

È vero che sei speciale, che ci posso fa’?