Diario di viaggio: Capalbio e il Giardino dei Tarocchi

Oggi, in memoria dei vecchi tempi, abbiamo riproposto una gita fuori porta con tutta la famiglia. Inizialmente la destinazione avrebbe dovuto essere il Gran Sasso, ma, causa maltempo previsto da quelle parti, abbiamo optato per un’altra regione, in una delle sue cittadine di confine: Capalbio in provincia di Grosseto.
Il paesino in sé è molto gradevole, racchiuso in una cinta muraria con tanto di torre aldobrandesca accessibile e visitabile. Il pezzo forte è stato però Dedò con la sua bottega d’arte. Dopo aver acquistato una calamita e due segnalibri presso la sua officina-negozio, il pittore ci intrattiene in una conversazione ricca di disillusione sull’andamento del nostro Paese e della nostra gente. Un uomo di cultura, un uomo di ideali e di grande spessore ci sembra, tanto che alcune delle sue parole risuonano ancora in me. Dedò si sente investito di una missione, di un compito preciso, cosa che lo ha indotto a limitare la sua permanenza negli Stati Uniti per lavorare in Italia, ove non si ritiene originario di una località particolare, ma cittadino Italiano a tutto tondo. Proseguiamo la nostra passeggiata tra i vicoli di Capalbio, rapiti da un invitante odorino di buona cucina (principalmente si avverte profumo di sughi che bollono in pentola già alle 11 del mattino) che aleggia nell’aria e che proviene dai mille localini situati in ogni angolo.
Un ottimo pranzo in una trattoria tipica ci procura il meritato ristoro. Assaggiamo crostini toscani, antipasti con salumi e formaggi locali, pici e ravioli come primi piatti, una fiorentina da 1kg ed il Pepone della Valle Maremmana come secondi. Solitamente al ristorante non mi faccio mai mancare i dolci: ordiniamo così una mousse di ricotta, miele e pinoli e una creme brûlé all’arancia.
Riprendiamo il cammino in direzione Roma, prevedendo una tappa al Giardino dei Tarocchi, cui le   opere di Dedò in parte si inspirano. In realtà la scultrice delle gigantesche opere del parco fa l’occhiolino al Parc Guell di Gaudì a livello di forme e colori, ma riproduce come soggetti i personaggi delle carte dei tarocchi. L’atmosfera del luogo è molto particolare, persino da incubo e mal di stomaco in alcuni punti. I colori accesi, le forme surreali, le dimensioni esagerate delle strutture (oltre i 10 metri) e la lavorazione con il mosaico danno l’idea di trovarsi in una sorta di parco delle meraviglie dall’atmosfera onirica. È sicuramente l’impatto delle prime sculture (il mago, la ruota della fortuna, il sole, la papessa e la torre sullo sfondo) che vale da solo una visita. I sentieri lungo i quali si svolge il tour nel parco sono anch’essi intagliati ed incisi con frasi, numeri, disegni, sagome, come fossero caselle di un enorme tabellone da gioco vivente. Il gioco di specchi creato dal mosaico è divertente e permette di sbizzarrirsi con fotografie più o meno improvvisate. Insomma, sin dall’inizio il colpo d’occhio è notevole, sebbene ci si domandi come sia venuto in mente (una mente disturbata, forse) all’artista di realizzare un posto così stravagante e particolare.
La giornata, giunta presto al termine, mi ha ricordato le gite che spesso si organizzavano con i miei specialmente nel periodo estivo e che ora sono divenute più rare per via dei maggiori impegni di noi figli. Sono queste giornate che uniscono, momenti in cui ci ritroviamo, tutti e quattro da soli, come se fossimo la cosa più bella al mondo. E forse non me ne rendo conto, ma lo siamo, lo siamo davvero.

Ho incontrato un uomo. Egli era povero, così povero. Aveva solo il denaro.

E me lo domando. 

C’è vita. C’è tanta vita che pullula ogni giorno.
E c’è il dolore. La disperazione.
C’è la sofferenza nell’animo di alcuni.
La sofferenza di una perdita, la sofferenza di restare soli.
E mi domando
Il perché di questo destino crudele.
Che sia frutto del caso
O prima o poi doveva succedere
Che senso ha tutto questo incedere?
Un colpo, poi due.
Una fucilata, una dietro l’altra.
Mi atterrano, occhi sbarrati: sono K.o.
Sembrano fulmini, lampi che squarciano il cielo
In una giornata di sole pieno.
È come una doccia fredda
Anche quando non senti caldo
Che ti cade violentemente addosso
Anche quando non ne hai bisogno
Mi domando sempre più spesso
Che senso ha continuare così
Alle spalle di chi
Continuare non può, non vuole, non sente ragioni.
L’ho sempre detto io,
Che il dolore più grande è di chi rimane
Non di chi se ne va
E ricordare fa ancora più male
Meglio sforzarsi di dimenticare
Oscurare quei momenti
Che sono adesso solo profondi turbamenti
Tirare avanti è l’unica soluzione
Bisogna farsene una ragione
Ma più ci penso
Più non riesco
A trovare una giusta spiegazione
Al dolore del mondo
All’angoscia di ogni secondo
Quando qualcuno a te caro
Esala l’ultimo respiro.
Io mi domando
Quanto a lungo ancora
Dovremo convivere con questo male
Con l’afflizione ed il dolore.
Per sempre, mi dico.
Per sempre, di certo
E allora che senso ha tutto il resto?